Nella costruzione di un immaginario pubblico sull’incompatibilità tra la donna e la politica, sull’inopportunità della sua presenza sulla scena pubblica vi è anche il timore di un rovesciamento dei ruoli di genere, di una deriva che produca promiscuità sessuale e la satira racconta in modo esemplare tale percorso. Talvolta il confine tra mascolinizzazione e inversione di genere nella raffigurazione di alcune deputate – specialmente comuniste – è labile. Ne sono testimonianza le vignette che richiamano episodi di accesa battaglia parlamentare con le protagoniste, spesso poco avvenenti o con caratteristiche tipicamente maschili, che aggrediscono fisicamente colleghi della maggioranza. Le comuniste sono figure sgraziate, trascurate, figure dai connotati sessuali incerti e per questo pericolose; nella rappresentazione, esse continuano ad essere, come era stato per le antenate socialiste o anarchiche, figure al limite, pericolose nemiche degli uomini. Ma l’idea che la politica “snaturasse” le donne, mortificasse la “femminilità” era diffusa nella società italiana. In anni più recenti, autorevoli testimoni di quella stagione si sono adoperate a decostruire questa immagine sottolineando eleganza e charme delle colleghe, una scelta che testimonia il peso degli stereotipi.
Tanto accanimento, valutazioni estetiche, la messa in ridicolo proprio a partire dall’aspetto fisico, che acquista uno specifico valore se posto in rapporto al tradizionale e condiviso modello della «bella italiana» rilanciato con forza nel dopoguerra dal concorso Miss Italia che si tiene nel 1946.