Difficile farsi le ossa per questo nuovo mestiere, tanto diverso e più impegnativo di quelli esercitati finora. Le neo-deputate – che non vogliono esser chiamate deputatesse – si lamentano che la loro presenza nell’alta assemblea susciti un movimento che esse giudicano solo di “curiosità”. Trovano che i giornali fanno troppe allusioni ai loro abiti, al loro modo di acconciare i capelli e che i loro colleghi sono troppo galanti, con una punta di protezione. Nei corridoi del Parlamento gli incontri sono sottoli-neati da baciamani, da inchini. Le deputate vorrebbero che si facesse più attenzione ai loro titoli di studio, al loro curriculum vitae, alla cartella rigonfia di documenti e progetti che portano sotto il braccio, anche per darsi un contegno.
Sulla stampa dell’epoca, l’attacco al nuovo ceto politico femminile passa attraverso canali e vie diversificate, tra queste la scelta di sottolineare gli aspetti più frivoli, dalla bellezza all’eleganza con commenti su acconciature, tailleur e colori prescelti, secondo pratiche discorsive che riconducono la novità nell’alveo di una tradizionale immagine femminile, cui fa da contraltare quella diametralmente opposta della «donna snaturata», portatrice di disordine, ribelle, sguaiata, dalla moralità sessuale ambigua e incerta.
Le critiche alle parlamentari si concentrano sull’abbigliamento, sulle pettinature ed anche sulle posture del corpo. Differente e di gran lunga minore l’attenzione data all’abbigliamento degli uomini politici. La diversificazione di genere è chiara: nel caso degli eletti commentare lo stile si traduce nell’inserimento di una semplice nota curiosa, oppure l’accento posto sul colore della cravatta o sul cappello ha la funzione di sottolineare l’appartenenza ad una famiglia politica. Per le donne, invece, gli insistenti commenti assumono il peso di un giudizio morale. Sebbene non vengano fatte esplicite notazioni sul gusto, è chiara la scelta di segnalare la loro inadeguatezza a ricoprire un ruolo istituzionale. L’uso trionfante dei colori, in particolare, viene subdolamente associato all’assenza di virtù, alla leggerezza morale, all’incompetenza.