La campagna elettorale dell’aprile-maggio 1968 la passai a Bassano del Grappa, provincia di Vicenza, quello del ponte famoso e del pittore. C’ero andata con la mia auto per potermi spostare nella zona e aiutare i compagni della sezione locale.
Nel Veneto, si sa, non eravamo fortissimi. Mentre distribuivamo volantini col nostro simbolo una donna di un paesetto scappò gridando “Xe il diavolo, xe il diavolo!”.
Quando attaccavamo a parlare, frotte di ragazzini cercavano di esorcizzarci tamburellando su barattoli vuoti.
A Bassano c’è il viale degli impiccati, dove i nazifascisti appesero alcune decine di partigiani per lo più “bianchi”. Con tristezza notai che le auto in sosta sfioravano quei tronchi che dovevano essere rispettati come un parco della rimembranza.
Il partito a Bassano allora era quasi tutto formato da operai delle Smalterie (se non erro le chiusero pochi anni dopo) che era anche la più importante fabbrica del posto.
Due giornate furono memorabili. Il 25 aprile andammo con la mia auto a Venezia per celebrare la Liberazione: il pullulare di bandiere rosse per le calli sino al campo San Polo era uno spettacolo di effetto cromatico stupendo.
Il 1° maggio ci recammo invece a Valdagno dove ci si ritrovò da tutta la regione per portare la solidarietà ai lavoratori tessili in lotta che tra l’altro avevano abbattuto la statua del fondatore della dinastia Marzotto. Sugli stabilimenti vidi svettare addirittura delle bandiere, tutte verdi: uno staterello feudale nella Repubblica italiana?
Prima di Bassano per una settimana avevo fatto un po’ di riunioni di caseggiato a Venezia, specie a Cannaregio. Ebbi l’occasione di vedere dall’interno alcune case non agiate: pavimenti ondulati e pareti storte per i sommovimenti della laguna. Roba da far girare la testa.