Il compagno Brambilla cenò nel suo ufficio, una ciotola come quelle che si usano nei campi di concentramento con un cucchiaio da minestra infilato dentro, abbandonata sulla scrivania, denunciava che la cena era consistita in pane e caffelatte. La vita dei funzionari di Partito negli anni ’50 era dura. Per Brambilla durissima. Era noto che quando si spostava a Roma per le riunioni viaggiava in terza classe di notte, forse per principio. Al Partito non si dovevano far spendere soldi inutilmente, un funzionario guadagnava come un operaio e in teoria doveva vivere nello stesso modo. Per i funzionari come Brambilla, tutto rigore e poco adatto ai comizi, la Federazione, l’ufficio era il centro della vita, al di fuori del lavoro restava ben poco.
C’era ancora luce nel cielo, benché fosse sera, per via dell’ora legale quando entrai nel suo ufficio. Colta la mia occhiata di evidente disapprovazione per la tazza sporca, si scusò di avermi convocato a quell’ora, non aveva avuto neppure il tempo di cenare perché tra mezz’ora lo aspettava un’altra riunione. Ascoltai quanto aveva da dirmi; quando ebbe finito posi delle questioni molto pratiche: l’Associazione Pionieri non c’era: solo qualche gruppo di ragazzi che frequentavano le Sezioni; per costituire un’Associazione come diceva lui in grado di interessare maestri e pedagogisti ci voleva una sede e dei soldi. Come sede mi propose dei locali alla Camera del Lavoro (all’epoca il Sindacato era considerato “cinghia di trasmissione” e il Partito poteva ottenere dei locali per far posto ad un’Associazione di giovani con fini educativi). Come finanziamento: il guadagno della vendita del Giornale il Pioniere, un bel giornalino per ragazzi, diretto da Gianni Rodari e Dina Rinaldi, che era uscito proprio nel mese di settembre del ’50.
Ero già pratica di diffusione e francamente mi sembrava che con la miseria del margine di guadagno sulla vendita del giornale fosse difficile metter su un’Associazione. Avevo inoltre paura che il Partito, una volta stabilito che i Pionieri avevano un responsabile, non se ne occupasse più per niente, e mi lasciasse sola. Su questo punto ebbi le più ampie rassicurazioni, ai Pionieri il Partito teneva molto: rappresentavano le nuove generazioni che avevamo il dovere di educare, il nostro avvenire. Non ci avrebbero lasciati soli, il Partito avrebbe stimolato: amministrazioni comunali, cooperative, sindacati ad aiutarci in modo consistente. Per quanto dipendeva da lui, mantenne la promessa.
Alla fine del colloquio la tazza di caffè latte vuota non mi sembrò più tanto disdicevole: era il segno concreto dei sacrifici sopportati dall’ex operaio Brambilla. Pensai agli anni di carcere e di confino che aveva sopportato, alla dedizione con cui si occupava delle cose più minute, anche saltando la cena, per far grande il Partito, alla passione e al rispetto che dimostrava per i problemi dell’educazione e della cultura. Francamente mi apparve quasi un Santo di quelli con l’aureola che primitivi senesi dipingevano sui muri delle Chiese.