Davanti a noi si presentava l’impegnativa decisiva battaglia delle elezioni del 7 giugno 1953 per il rinnovo del Parlamento della Repubblica italiana.
La Democrazia Cristiana, con l’appoggio di PSDI, PLI e PRI, aveva appoggiato una legge elettorale maggioritaria, da noi battezzata “legge truffa”, mediante la quale un gruppo di liste apparentate che avesse ottenuto il 50% più uno dei voti avrebbe ricevuto i due terzi degli eletti. Era il cosiddetto premio di maggioranza che avrebbe dovuto garantire la governabilità.
La battaglia elettorale fu accesissima. Gli elettori furono inondati da manifesti, opuscoli, volantini. I comizi, le conferenze, i dibattiti si tennero in numero incalcolabile. La televisione era stata inventata da poco ed il possesso di un televisore era ancora una rarità. Il confronto avveniva nelle piazze, nelle sale cinematografiche e teatrali, nei cortili delle case, nei crocevia delle strade, nelle visite casa per casa. Ed ognuno portava le proprie argomentazioni. I democristiani amavano attaccarci denunciando l’assenza di libertà nei paesi governati dai comunisti. Un Comitato Civico diretto dal presidente dell’Azione Cattolica Luigi Gedda organizzava nelle città italiane le “Mostre dell’Aldilà” che ammonivano gli elettori a non trasferire in Italia le Forche di Praga, le Chiese del Silenzio, i Lavori Forzati, cioè a non trasferire l’Aldilà comunista nell’Aldiquà democratico e cristiano. Il clero scese massicciamente nella campagna elettorale a favore della DC, facendo perno sulla “scomunica” decretata il 15 luglio 1949 da Papa Pio XII contro i comunisti. E come era già accaduto nella precedente campagna elettorale del 18 aprile 1948, anche stavolta scesero in campo nella crociata anticomunista diversi “microfoni di Dio”, come il gesuita Padre Lombardi, e qua e là ci furono Madonne che lacrimarono o mossero gli occhi. E noi ribattevamo denunciando la mancanza di lavoro e di libertà in Italia, stigmatizzando la corruzione di certi governanti italiani da noi ridicolizzati con il nomignolo di “forchettoni”. Fu così che accanto ai manifesti democristiani con le “forche” noi affiggevamo i nostri manifesti con le “forchette”.
Io girai l’intera provincia, nei giorni feriali e festivi, impegnato in riunioni, comizi, contraddittori, perlopiù in pianura e qualche volta in città e in montagna. Nel nostro argomentare rientrava la denuncia della “legge truffa” come copia della “legge Acerbo” che aveva assicurato la vittoria del fascismo nelle elezioni del 1924. Se fosse scattata, il voto di un elettore vincente avrebbe pesato sul futuro Parlamento per il 75 per cento mentre il voto di un elettore perdente solo per il 25 per cento. Era anticostituzionale. E con una maggioranza dei due terzi si sarebbe potuto modificare la stessa Costituzione Repubblicana fondata su valori democratici e antifascisti.
I dibattiti erano affollatissimi. Il pubblico seguiva con passione le ragioni dei sostenitori e degli avversari di quella legge. Ricordo un contraddittorio che ebbi nel teatro di Minerbio con l’onorevole Anselmo Martoni, sindaco socialdemocratico di Molinella. Il teatro era stracolmo.
C’erano delle regole da rispettare come in un incontro di pugilato. Il Presidente concesse venti minuti a testa per l’introduzione, poi seguirono delle riprese di dieci minuti e quindi di cinque minuti.
Il pubblico rumoreggiava chi a favore chi contro. Poi ci furono gli interventi della platea.
Avevamo iniziato alle ore venti. A mezzanotte il Presidente-giudice di gara ci fece concludere assegnando cinque minuti per ciascuno. Alla fine i compagni si dissero soddisfatti perché erano convinti che il match l’avevamo vinto noi.
A Baricella invece le cose si svolsero diversamente. Ero stato nella frazione Boschi a tenere una riunione di giovani col solito motorino Ducati della Federazione Giovanile Comunista. Al ritorno, poco prima di mezzanotte, passai per il centro di Baricella. C’era un comizio dell’onorevole Luigi Preti, ministro socialdemocratico. Mi fermai ad ascoltare e poi salii le scale del Palazzo Comunale sul cui balcone stava l’oratore. Chiesi la parola ed il Ministro, gentilissimo, accondiscese. Ci scambiammo alcune battute. Il pubblico era composto in maggioranza da elettori socialdemocratici. Molti applausi quindi per Preti, ma anche per me ci furono grida d’approvazione da parte dei compagni accorsi dal vicino circolo CRAL. Alla fine, sulla piazza antistante il Comune, io e Luigi Preti ci salutammo stringendoci la mano.