Fino al ’75, anno del grande balzo elettorale a Roma e altre città, avevo quasi sempre fatto lo scrutatore o il rappresentante di lista, compito assai pesante perché non ci si doveva mai assentare dal seggio per ovvie ragioni. Lo scrutinio si faceva al rallentatore perché gli altri componenti del seggio volevano superare la mezzanotte per far scattare la giornata in più come pagamento (a noi comunisti, che versavamo alla sezione l’importo, non interessava granché).
Lo scrutinio era anche il momento in cui si rivelava l’appartenenza politica di ciascuno, parlo dei soli scrutatori, s’intende.
Durante lo spoglio delle schede, una volta due democristiani si accapigliavano tra loro per via di una preferenza: l’uno voleva annullarla e l’altro no. […] Io non mi sono mai sentita –iana di nessuno. Alle elezioni del ’63, (abitavo a Monteverde Nuovo) mi feci mettere solo rappresentante di lista per poter mantenere la promessa fatta a mia padre, allora molto malato, di accompagnarlo con la mia 500 al suo seggio, che era a M. Mario, a votare. (L’altro figlio presente a Roma era presidente di seggio). Sapevo bene come aveva sempre votato ma volevo che potesse soddisfare il suo desiderio. Mi disse, quasi a scusarsi perché lo portavo a fare una cosa contraria alle mie idee – quella volta votava liberale –: “Che vuoi, ognuno è figlio del suo tempo”. Aveva ragione. Anche io sono figlia del mio tempo.