Fra i “politici” Antonello Trombadori, Fabrizio Onofri, Vittoria Giunti. Antonello, quando passava da Milano, non mancava mai di venirci a trovare, ci portava le notizie romane. Si occupava del settore spettacolo presso la commissione culturale della direzione del Partito. Tesseva rapporti con quel gruppo di intellettuali (la maggior parte dei quali comunisti non erano-Cesare Zavattini e De Sica, Luchino Visconti e Rossellini, De Sanctis e Pietro Germi) che dettero vita al cinema realista. Erano tempi straordinari: alla prima di “Ladri di Biciclette” (1948) organizzata dal Circolo romano del cinema le attrici Silvana Mangano e Lucia Bose’ alla porta distribuivano volantini in difesa del cinema italiano. “Ci si batteva contro la censura, allora tracotante, – dice Antonello – e per rivendicare dallo Stato adeguata protezione per il nostro cinema dal dumping americano”.
Grande amico di Antonello era Fabrizio Onofri, giovane intellettuale romano venuto dalla Resistenza.
Nel ’48 Fabrizio, funzionario di Partito, venne trasferito a Milano per lavorare con Arturo Colombi che era stato chiamato alla direzione del Regionale Lombardo. Fabrizio era un uomo piuttosto affascinante. Lo avevo conosciuto nell’estate del ’46, al Forte del Marmi, quando venivano per i fine settimana, lui e Antonello, a trovare i bambini e le mogli, Michela e Fulvia, che dividevano un piccolo appartamento preso in affitto. Quando gli ero stata presentata Fabrizio mi aveva guardato in un certo modo, con gli occhi azzurri irridenti, che mi aveva messo in imbarazzo. […].
Anche per Fabrizio la casa di via Borgonuovo, costituì un punto di riferimento nei tempi in cui si ambientava nella nuova città. Veniva spesso a cena .Un po’ del turbamento che avevo provato quando la portavo in grembo deve essersi trasmesso alla nostra bambina un delizioso trottolino. Quando arrivava Fabrizio si metteva in agitazione. […]
All’epoca Fabrizio era già separato dalla moglie e iniziava un legame destinato a durare con una ragazza simpatica e disinibita.[…] Fabrizio si sforzava di essere un comunista rigoroso. Sosteneva che gli intellettuali dovevano dedicarsi a tempo pieno al Partito, per essere organico alla classe operaia.
Una sera in cui ricevevamo gli amici si scatenò a questo proposito una furiosa lite fra lui e Alfonso Gatto, Gatto sosteneva, come mio marito, che gli intellettuali dovevano scrivere, dipingere, insomma fare il loro mestiere, senza condizionamenti, e poi partecipare alla politica come cittadini. Io capii così il motivo del dissenso. Anche se era difficile comprendere fino in fondo, perché Gatto gridava come un matto. Quando nel ’56 apparve su Rinascita l’articolo di Onofri in cui attaccava la politica seguita dal Partito dal 47 in poi mi meravigliai molto. Ricordandomi del passato orientamento pensai che Fabrizio, approfittando del momento, volesse saltare su un treno più gratificante del Partito comunista, che si trovava in quel momento, isolato. Invece, dopo la replica di Togliatti, Onofri si mise in disparte. Morì assai precocemente di un tumore. Ricordandolo in un corsivo sull’Unità, l’amico Antonello chiese per lui, morto in povertà e solitudine, rispetto.