Incontrai per la prima volta Enrico nei primi anni ‘50, a Napoli: era venuto, lui Segretario Nazionale della FGCI, a presiedere i lavori del nostro congresso dei giovani comunisti napoletani. Mi impressionò molto quel dirigente venuto da Roma, di qualche anno più grande di noi ma ancora giovanissimo, serio, attento, che non perdeva una parola di quanto andavamo dicendo nel nostro dibattito. A me sembrò sì schivo, riservato, ma nientaffatto timido come già allora qualcuno voleva rappresentarlo; si ricavava l’impressione che la sua riservatezza gli servisse non a mascherare bensì a controllare il furore morale che lo animava profondamente. Dopo due giorni di impegnate discussioni, in quella prima occasione, ricordo che costringemmo, quasi, Berlinguer a partecipare con noi ad una gita in barca profittando di uno splendido pomeriggio di sole quale solo la tarda primavera napoletana è capace di offrire; ma non riuscimmo a coinvolgerlo nella nostra rumorosa spensieratezza, strappandogli un sorriso di convinta partecipazione quando il discorso si spostò sul poeta Virgilio, il lago d’Averno, la Sibilla cumana, cioè sulla storia antichissima dei luoghi dove ci trovavamo. Negli anni successivi ho avuto modo di frequentare spesso Enrico Berlinguer anche fuori da Botteghe Oscure e da un ambito strettamente politico, chiamato talvolta ad occuparmi anche delle sue condizioni di salute, partecipando della gioviale cordialità che in tante occasioni sapeva benissimo portare nei rapporti privati.
Sulla politica di Berlinguer, sulle sue feconde intuizioni, sui suoi ragionevoli dubbi, sulla sua forse insufficiente duttilità nei rapporti politici sono stati versati fiumi d’inchiostro; quello che di lui resta chiaro nel nostro ricordo è il suo estremo rigore sui principi sui quali gli era congenitamente impossibile transigere.
Anche per questo nei quindici anni della direzione berlingueriana il PCI raggiunse le vette più alte, nella sua storia, dei consensi elettorali oltreché la massima estensione della sua influenza nella politica italiana. Il popolo si fidava di questo Partito che aveva saputo trasformarsi restando fedele alle sue origini, che amministrava bene, con rigore e correttezza centinaia di città, grandi i piccole, e la maggior parte delle regioni e province d’Italia. Fiducia e consenso che stavano a significare una condivisione ampia del fatto che i comunisti avessero posto al centro della loro azione politica proprio la questione morale, anche se ciò comprometteva i rapporti a sinistra e acutizzava i contrasti con i socialisti di Bettino Craxi.
Non con lo stesso entusiasmo venne accolta l’altra indicazione, collegata alla precedente, che Berlinguer ritenne di dover porre all’attenzione delle forze politiche e del Paese, quella dell’”austerità”; si trattava di una indicazione nuova e di non facile comprensione, se vista soltanto nell’accezione logica del termine.
Le masse popolari erano da sempre costrette ad una vita austera che nulla poteva concedere al superfluo. E in questo senso l’austerità era di casa anche a Botteghe Oscure: eravamo da sempre educati ed abituati a far ricorso soltanto all’essenziale, ad economizzare persino sul materiale di cancelleria, mentre i nostri compagni autisti praticavano una loro personale competizione, con piccolo premio finale, per vedere chi riusciva a consumare meno carburante a parità di chilometri percorsi con le automobili del Partito.