Durante tutto il mese di maggio, si tennero molti comizi per il referendum fissato per il due giugno. La posta in palio era di grandissima importanza, si trattava di scegliere fra, la conservazione della Monarchia o l’istituzione della Repubblica. In quelle settimane ricche d’iniziative in piazza, si assistette a dei contraddittori molto vivaci, con un ampia partecipazione dei cittadini. Per la gente che gremiva la piazza era come assistere ad uno spettacolo di teatro all’aperto, tanto si divertiva nel vedere e sentire gli oratori, trascinati dalla passione politica, insultarsi anche con parole scurrili, fino ad arrivare a qualche spintone. Era, dunque, un clima arroventato, molti reduci non erano certo sintonizzati con le posizioni della Democrazia Cristiana e, men che meno con quelle liberali giacché, questi, si battevano insieme agli ex fascisti dell’Uomo Qualunque, per il mantenimento della Monarchia. La Chiesa locale, da par suo, agiva in modo sotterraneo e cercava di far presa sulle donne anziane. Dagli ambienti ecclesiastici, venivano fuori delle storie che non stavano né in cielo e né in terra, come quella che se: “avesse vinto la Repubblica, la donna si sarebbe dovuta dare a qualsiasi uomo che la desiderasse”. Un giorno andai da un’anziana parente per convincerla a votare in favore della Repubblica e mi rispose che, potevo chiederle qualsiasi cosa e me l’avrebbe data, ma dare il voto per la Repubblica era un peccato mortale. L’anziana donna sostenne che, solo per il Re del Cielo e per il Re della terra, cioè: per la Democrazia Cristiana e per la Monarchia si sarebbe scomodata. Questa posizione, assunta da molte donne anziane, a noi reduci non piaceva per niente; non riuscivamo a farle capire che la Monarchia era un’istituzione ereditaria e che se un principe fosse nato malato o stupido, manteneva il diritto di regnare lo stesso. Ci sforzammo di spiegare anche che la Monarchia aveva una massa di cortigiani, conti, baroni, marchesi, tutti mantenuti a spese del popolo. Mentre con la Repubblica, precisavamo, il Capo dello Stato sarebbe scelto dai nostri rappresentanti eletti in Parlamento (senatori e parlamentari), i quali, non avrebbero scelto certamente un demente o un irresponsabile. E poi, quel Capo, non avrebbe disposto né di codazzi reali, né di donne da compagnia per la Regina. Il Re Vittorio Emanuele III°, spiegavamo ancora, s’era reso colpevole di aver dato il potere delle forze armate a Mussolini, cioè a un dittatore che ci aveva trascinato in una guerra assurda, che ha distrutto l’Italia, trascinando alla morte tante vite umane.
In paese, come per le elezioni amministrative, furono allestite due sezioni e, a presiederle giunsero da Oristano, il giudice Salvatorangelo Carta (in seguito diventammo amici) e il cancelliere capo sig. Piana. Non essendoci alberghi, trovai loro un locale privato per fargli dormire e mangiare. Sempre da Oristano, dal Distretto militare, arrivarono una decina di soldati e un sottufficiale, per fare la guardia e garantire l’ordine pubblico.
Il responso delle urne, fu da me e dai compagni reduci, acquisito con un forte senso di rabbia e di sconforto: per pochi voti vinse la Monarchia. La vittoria della Monarchia fu accolto e festeggiata allegramente dagli elettori dei partiti che la sostennero, mentre a noialtri che l’osteggiammo ci rimase in bocca il sapore amaro della sconfitta.
La Monarchia vinse nell’intero Mezzogiorno e nelle isole. Il giorno seguente, tuttavia, quando si conobbero i risultati nazionali e si seppe che dalla Toscana in su, in grande maggioranza gli elettori scelsero la Repubblica, riequilibrando e superando il dato del Sud, lo sconforto e la rabbia si trasformò in poco tempo in gioia e soddisfazione. Per coloro che ad Ardauli, invece, votarono la Monarchia, accadde il contrario: dall’euforia per la vittoria locale, piombarono nella tristezza per la sconfitta nazionale.