II mio ingresso nella politica attiva avvenne più che per convinzione ideologica, per il gran desiderio di sentirmi integrata nell’Italia del dopoguerra e per sfuggire alle difficoltà della famiglia. Quando mi presentai ad offrirmi per lavorare alla delegazione nazionale dell’Unione Donne Italiane, venni accolta da un “Uh queste signore che vengono dalla Svizzera”. Le cose andarono un po’ meglio quando seppero che ero la sorella di Criticus. Mi assegnarono all’UDI Provinciale di Milano che aveva sede (provvisoria) in via Monte di Pietà dove trovai un sostegno in Gisella Floreanini che ne era la Presidente. Gisella mi fece da garante per l’iscrizione al Partito Comunista e mi assegnò una serie di incarichi nell’UDI. Anche troppi e troppo grandi per la mia inesperienza.
Mi occupavo, assieme a una socialista della la stampa e propaganda. All’epoca significava fare e diffondere la rivista NOI DONNE che usciva in edizioni locali. Arrivammo a diffonderne cinquemila copie e quando NOI DONNE divenne una rivista unica nazionale con la redazione a Roma, a Milano le attiviste ne diffondevamo quattordicimila copie di porta in porta. Quando iniziai a lavorare all’UDI Gisella Floreanini propose di assegnarmi uno stipendio. Figura di spicco del movimento partigiano, nell’UDI del dopoguerra Gisella era l’unica che avesse le idee chiare sulla questione femminile “L’EMANCIPAZIONE DELLA DONNA – diceva – SUPERA I LINITI DI CLASSE”. Ma tutte le volte che si parlava del mio stipendio saltava fuori l’Antonietta, che teneva l’amministrazione, a ricordare la visita dell’ufficiale giudiziario, o di quello che minacciava di tagliare i fili della luce o del telefono.
Le funzionarie erano pochissime e venivano reclutate fra chi aveva perso il lavoro in fabbrica o aveva un passato di meriti partigiani. Era arrivata anche la Maria Azzali, compagna partigiana, tornata al suo lavoro di contabile, a dire riferendosi a me, “che non era mica tanto bello vedere le figlie di papà dietro le scrivanie dell’U.D.I.” In un certo senso ritenevo quei commenti giustificati. Ero di fatto una signora compagna. Nel tempo della lotta partigiana stavo in Svizzera ora vivevo in un appartamento di otto vani mentre Milano era tutta disastrata e trovare un alloggio era un terno al lotto. Dovevo dunque scontare i miei privilegi, e conquistarmi la fiducia degli operai con la modestia e con l’impegno gratuito (per ora).
Lina Fibbi, responsabile delle donne comuniste a Milano (non avevo con lei tanta confidenza ma la stimavo moltissimo) diceva che al Partito bisogna dare, non chiedere. Mi rassegnai così alla mia carriera di funzionaria non pagata. Nella situazione del dopoguerra non ero la sola. Eravamo in molti ad attendere che le cose cambiassero da un memento all’altro, vivevamo tutti una fase di grande volontarismo Molti studenti lasciarono l’Università senza laurearsi per darsi alla politica. Consideravo la mia situazione un periodo transitorio di apprendistato.