Tiravo avanti con il solito tran tran, passò l’estate, l’autunno, l’inverno meno duro del precedente. Ma la primavera portò agli abitanti della città e dell’intero Comune, un pò di preocupazione.
Si doveva votare per le amministrative, per quella occasione si era affacciata la figura di Dossetti, per essere eletto Sindaco della Città.
Ma non era facile spodestare il Sindaco Dozza, ch’era alla guida del Comune da quando era finita la guerra. Ma i bolognesi si erano preocupati, andarono da casa in casa a fare persuasione di votare Dozza non Dossetti. Molte persone dai comuni vicini le invitarono a votare in città, ma dovevano garantire che votassero falcia e martello. Sulle nostre colline non si parlava di altro. Avevano invaso le strade di cartaccie e strillavano a granvoce.
Un giorno che pioveva, noi famigliari eravamo tutti in casa. A me il lavoro non mancava. Mi ero seduta accanto alla finestra a cucire e riparare dei vestiti. Quando vidi entrare un nostro confinante, aveva un pò di cartacce fra le mani. Si dimostrava anche un pò timido, forse per la mia presenza, non certo quella di mio marito, perché si ritrovavano sempre alle riunioni. Si sedette accanto al tavolo e parlava con mio marito, ma poveretto se non avesse parlato ci avrebbe fatto più bella figura. Forse voleva convincere pure me a non votare Dossetti. Sapeva che frequentavo la Chiesa, a un certo momento iniziò a dire che anche Gesù Cristo era un socialista, ma diceva parole che non stavano né in cielo né in terra. Ma non intervenni, lo vedevo così preso a parlare del suo vangelo che se avessi detto qualcosa lo zittivo con due parole. Ma poi alla fine si era fatto coraggio, tirò fuori la scheda dove c’erano tutti i simboli dei partiti e si rivolse a mia suocera e l’indicava quale simbolo doveva votare. Le aveva messo la matita fra le mani, ma lei prima di fare il segno volse lo sguardo a me io accennai di si con il capo. Poi lui s’interessò come faceva la nonna andare a votare che la strada era lunga da fare a piedi. Dissi che sarei andata in città e sarei ritornata con un taxi. Ma lui tanto gentile si offerse con il suo camioncino, diceva che in cabina si stava benissimo anche in tre. Così ci accordammo per la domenica sucessiva, che ci sarebbe venuto a prendere per portarci a votare. Quando se ne fu andato, mio marito diceva con sua madre che poteva fare anche a meno di andare a votare, perché sapeva che non votava falcia e martello. Ma io presi la parte della madre e dissi: «Tu vai alle riunioni, tu prendi la tessera del P C. tu domenica voti per chi ti pare, noi faremo altrettanto. Questa è demograzia se la voi capire».
Veramente per il sindaco Dozza fu un vero trionfo. La sconfitta di Dossetti lo indusse a farsi prete. Dopo a quel trionfo mi sembrava che qualcosa stasse cambiando nell’aria. La gente stava perdendo quel sistema di segnare a dito chi non votava P.C. Anche con me che frequentavo la Chiesa, mi sembravano più cordiali, non ero più io a salutarli per prima, ma erano loro a invitarmi al dialogo; io accettavo con piacere. Piaceva anche che fosse calata quella bariera fra noi lavoratori. nessuno si preocupava più di frequentare il Cral. Anzi in quel locale dopo un pò di tempo aprirono un Bar, ma non perché la gente avesse cambiato idea, perché era più civile a vivere senza divisioni. Il Bar era frequentato da tutti e il dialogo non mancava anche, fra quelli che avevano idee diverse. Anche a me mi sentivo più libera, anche con mio marito il dialogo si era fatto più costruttivo e si tirava avanti meglio.