L’attività del partito, si sviluppò, sia per rafforzare la sua organizzazione, sia per sviluppare la sua attività politica, ma mentre era in atto quell’attività, avvenne un fatto gravissimo. Il 14 Luglio 48 Togliatti venne ferito con tre colpi di pistola da un giovane, A. Pallante. Prontamente soccorso venne trasportato all’ospedale. Ai massimi diligenti del partito accorsi al suo capezzale raccomandò “di non perdere la calma”, volendo dire con ciò che era necessario avere un forte controllo sul partito, affinché esso non avesse pericolosi sbandamenti.
Le preoccupazioni di Togliatti erano giuste perché la notizia dell’attentato aveva scosso l’Italia. Ci furono manifestazioni ovunque, mentre il Ministro dell’Interno dava disposizioni per impedire qualsiasi manifestazione. In alcune città, Napoli, Genova, Livorno, La Spezia, l’intervento della polizia (La Celere) provocò morti e feriti. Anche a Bologna ci furono manifestazioni ed occupazione di fabbriche, la tensione era altissima.
La CGIL riunitasi, in assenza dei dirigenti democristiani, repubblicani e socialdemocratici, proclamò lo sciopero generale a tempo indeterminato, con una adesione altissima.
Nel Nord del paese ci furono occupazioni di fabbriche.
Alla notizia dell’attentato, dove lavoravo si decise di aderire allo sciopero. Mi recai subito nella sede della sezione dove arrivarono compagni che volevano avere notizie di quanto era accaduto e cosa era necessario fare. In quella situazione di tensione ed inquietudine mi colpì un fatto; non erano venuti in sezione i compagni ex partigiani, non riuscivo a darmi una spiegazione di quel loro comportamento.
Successivamente seppi che quei compagni, avuta la notizia dell’attentato si erano riuniti nella casa del compagno che era il responsabile di zona dell’ANPI, dove avevano discusso della situazione creata dall’attentato e cosa era necessario fare. Mi dissero che nella riunione si discusse se era necessario andare a prendere le armi che alcuni partigiani della zona, al termine della guerra, non le avevano consegnate agli alleati come era stato stabilito con la smobilitazione delle formazioni partigiane. Quelle armi erano nascoste dentro ad un fusto di ferro sepolto in un campo, ma venne deciso che per il momento, era meglio non prendere quella decisione.
Nelle giornate che seguirono l’attentato emerse il pericolo che la situazione diventasse difficile da controllare. Bisognava evitare che degenerasse in uno scontro con la polizia, i dirigenti del partito fecero il massimo sforzo perché ciò non avvenisse.
In quell’opera di dissuasione si impegnarono anche quei dirigenti che in un passato recente, sostenevano che l’evoluzione politica nel nostro paese non poteva escludere anche il ricorso alla lotta armata.
Ironia della sorte, proprio nel momento in cui si stavano creando le condizioni necessarie atte ad una eventuale lotta armata, essi intervennero affinché non si creassero quelle condizioni.
Che ci fosse quel pericolo lo dimostrano due fatti, anche se di modeste dimensioni. Il primo, le armi nascoste nella zona della mia sezione; il secondo emerge da un articolo pubblicato sull’Unità dell’Ottobre 97 dove è descritta la situazione esistente nel partito su un problema di fondo della sua politica, cioè se era giusta la politica parlamentare di collaborazione con i cattolici sostenuta da Togliatti o se si doveva cominciare a pensare all’ipotesi di intraprendere una via illegale che prevedesse anche la lotta armata.
A dimostrazione che ci fossero, in alcuni settori del partito, quelle posizioni, l’articolo descrive un fatto inedito. In esso si afferma che, nel Maggio 45 nelle sedi del partito comunista del Centro-Sud era affisso un manifesto nel quale si prescriveva ai partigiani di consegnare l’equipaggiamento agli alleati, ma che sotto quell’appello era scritto “fessi, non siamo bolognesi”, come allusione al fatto che i partigiani bolognesi erano stati solerti nell’ottemperare a quell’invito (non tutti).
Nell’articolo si dice anche che le armi non consegnate erano “ben riposte ed oleate”. Questo può far pensare che chi aveva avuto quel comportamento pensava che, prima o poi esse sarebbero state usate.
L’attentato a Togliatti e la conseguente posizione della CGIL, che aveva proclamato lo sciopero generale a tempo indeterminato, provocò la scissione sindacale e la conseguente nascita della CISL idealmente legata alla DC e dell’UIL promossa dai dirigenti sindacali repubblicani e socialdemocratici.
La rottura dell’unità sindacale non ebbe conseguenze tra i lavoratori dove lavoravo. Solamente mio fratello, che era tra quei lavoratori, essendo un cattolico molto legato alla chiesa aderì alla CISL. Questa situazione mi creò qualche problema, ma non durò a lungo perché si ammalò ed i medici gli dissero che non poteva più lavorare in una fonderia.
Che la rottura dell’unità sindacale arrecasse un grave danno ai lavoratori, venne in tempi brevi, riconosciuta dai dirigenti dei tre sindacati. Infatti nell’Agosto 50 essi firmarono un accordo, impegnandosi a mantenere una posizione unitaria nei confronti della Confindustria.
Personalmente giudicai quella rottura un fatto gravissimo che rendeva più difficile condurre la lotta che i sindacati organizzavano per migliorare le condizioni esistenziali dei lavoratori.
Quell’unità raggiunta nell’azione contro il padronato era, ed è tutt’ora importante, ma presentarsi alle trattative sindacali, si uniti, poi essere divisi come organizzazioni che rappresentano i lavoratori è un segno di debolezza e ci sono centinaia di episodi che io dimostrano.
Nel mese di Agosto 48 si organizzo la prima festa dell’Unità della sezione. Essa si svolse nella piazzetta antistante l’edificio dove c’era la sua sede.
L’impegno dei compagni, ma sopratutto delle compagne, contribuì al suo successo.
Nell’anno successivo volevamo organizzare la festa nella stessa piazzetta.
Per effettuare quelle feste era necessario avere l’autorizzazione prefettizia, che doveva dire se il luogo prescelto per lo svolgimento di essa era idoneo o nò.
Mentre nell’anno precedente la piazzetta andava bene, nel 49 non più. Il pretesto era che essa era prospiciente una via e che pertanto lo svolgimento della festa era di intralcio alla sua viabilità, ma ciò non era vero, come aveva dimostrato la festa dell’anno precedente. Ho detto pretesto perché in quel periodo le autorità governative si adoperavano per ostacolare, con ogni mezzo, l’attività del partito comunista, feste comprese. La festa ebbe luogo ugualmente in uno spazio non molto grande, situato di fianco allo stabile. Malgrado quella difficoltà essa ebbe un notevole successo.