Verso la fine di febbraio, mi convocarono, da sola, in Federazione. L’amicizia con Piera, forse, incominciò a incrinarsi proprio da quel giorno. È triste a dirsi ma si insinuò, fra noi, la rivalità. “Che cosa vorranno? – mi domandavo – mentre salivo le scale del Palazzo. La Federazione del Partito comunista era ospitata in un edificio costruito come, sede della Casa del Fascio, occupato dai partigiani durante l’insurrezione. La piazza dove sorge, contigua a Porta Garibaldi, ha preso il nome di XXV aprile. Il colloquio era fissato con Lina Fibbi, responsabile delle donne comuniste. Lina, figlia di operai emigrati in Francia quando si instaurò il fascismo, partigiana in Italia durante la guerra di Liberazione, aveva perso il compagno nei combattimenti: le era nata una bambina quando il papà era già morto.
Non faceva complimenti ed era piuttosto dura nel rilevare i difetti delle compagne “borghesi”. Molto intelligente, superava le punte di durezza con un orientamento politico aperto. Aveva soprattutto, un grande “spirito di Partito” (come si diceva allora) che consisteva nel disinteresse personale e nel considerare sempre prioritario l’interesse del Partito. Aveva aderito al modello del “Partito nuovo” e non lasciava perdere nessuno, era una educatrice di “quadri, solida, presente, coraggiosa e sincera. L’avevo vista turbata (sembrava addirittura disorientata) una sola volta: all’indomani delle elezioni del 18 aprile, quando i risultati che davano alla Democrazia Cristiana la maggioranza assoluta, divennero definitivi. Ma, da brava combattente, si era ripresa subito.
Nel colloquio Lina non fece troppi preamboli, andò dritta allo scopo della convocazione: “Incomincia in marzo – mi comunicò – un corso della scuola femminile centrale. Alla nostra Federazione sono riservati due posti, andrà una compagna operaia della Pirelli, per l’altro posto abbiamo pensato a te”. Il corso – mi avvertì – si terrà a Milano ma è collegiato c’è l’obbligo di dormire dentro e dura –(mi disse) – tre mesi.