L’anno dopo il provveditorato diede l’incarico direttivo ad un’altra insegnante di inglese. Era amica della caporalessa defenestrata e sicuramente imbeccata da lei, per cui continuai ad essere sotto tiro. Insistenti controlli del registro, spionaggio da dietro la porta: fu colta più volte dalla bidella mentre origliava e guardava dentro il buco della serratura.
Il collega di Perugia, cattolico convinto, rimase talmente colpito dall’arroganza del contesto da appassionarsi empaticamente alle mie battaglie ideali, fino a condividerle: decidemmo insieme di costruire un modulo sulla questione femminile.
La spinta era venuta dai giornali: riportavano di un caposervizio Rai, che aveva impedito alle giornaliste di occuparsi dell’alluvione di Napoli. Il gentil sesso, sosteneva, era più portato per argomenti meno “seri”, come la moda, la cucina, le opere di bene…
Da qui l’idea di risalire alle origini della discriminazione sessista, con il sussidio di Elena Gianini Belotti (“Dalla parte delle bambine”), verificandone poi la dimensione a Lumezzane, attraverso un questionario, somministrato ad un campione di 500 persone.
Per interpretare e commentare i risultati, rapportandoli a quanto detta la Costituzione, decidemmo di invitare quattro donne: una casalinga, una madre lavoratrice, una giovane operaia, una politica. Trovammo facilmente le appartenenti alle prime tre categorie, ben più difficile fu individuare donne impegnate in politica ad alto livello, confermando la tesi che certi ruoli erano ancora monopolio maschile.
In tutto il territorio bresciano, infatti, c’era solo Dolores Abbiati, senatrice del PCI, con una importante storia resistenziale alle spalle: aveva anche trascorso l’infanzia e l’adolescenza al confino, con i genitori e con tanti personaggi eccellenti, da Pertini a Spinelli, dai fratelli Rosselli a Emilio Lussu.