Nel maggio del 1946, la campagna referendaria per scegliere fra Repubblica o Monarchia, avanzava con forte intensità e partecipazione dei cittadini ai comizi svolti in contraddittorio. Tutti, ad Ardauli, erano interessati a capire qual era la scelta più conveniente: se mantenere la Monarchia o instaurare la Repubblica. Per noi reduci, la Monarchia, era sempre stata indigesta: non fu capace di fermare l’avvento del fascismo; ci fece fare la guerra e, di conseguenza, si rese complice della distruzione dell’Italia e della morte di migliaia di giovani. Ricordo di un dibattito che avvenne in Piazza Roma, in Ardauli, fra il parroco di Neoncli, don Marceddu e un esponente del Partito Comunista Italiano. La piazza era stracolma di cittadini ed il contraddittorio si svolgeva con botta e risposta, in modo ripetuto. I due oratori s’attaccarono duramente: il prete sulla dittatura comunista in Russia e il comunista, sulle connivenze di certi sacerdoti e sui connubi della Chiesa con il regime fascista. Per la gente che assisteva, era come una commedia di teatro: molto divertente.
Al mio paese, la terza domenica di maggio, si festeggiava Santa Maria mentre il lunedì Sant’Isidoro: sia la domenica che il lunedì, quindi, la popolazione ardaulese, con grande devozione partecipava alla solenne processione. Una processione accompagnata dai cavalieri in groppa ai migliori esemplari da sella, dai gioghi di buoi bardati di fiori e campanelle e arance infilate nelle corna. Sin da piccolo, specialmente nella processione del lunedì, guidavo il giogo di buoi di mio babbo. E, non per vantarmi, ma il giogo che guidavo io era uno dei migliori del paese. Per Sant’Isidoro, ogni anno, s’infilavano nelle corna dei buoi quattro “Panemannas”, dolci fatti con il mosto cotto e mandorle, di forma rotonda e con il buco in mezzo, appunto, per essere infilato nelle corna.
Alla festa parteciparono anche molti amici dei paesi vicini (Sorradile, Neoneli, Nugheddu). Era usanza che gli amici degli altri paesi fossero ospitati dove si svolgevano i festeggiamenti, per consentirgli di parteciparvi. Capitava, che in casa di un amico si ospitassero anche dieci persone per più giorni. Altrettanto accadeva a noialtri in occasione di feste in altri paesi del circondario. Erano feste religiose, ma con partecipazione popolare, anche da parte dei non credenti, pur di stare insieme, forse anche per dimenticare, almeno per qualche giorno, i gravi problemi quotidiani. La sera, ai balli in piazza partecipavano quasi tutti, solo i giocatori di “morra”, prevalentemente anziani, se ne astenevano. Ecco perché una casa per ospitare gli amici, si rimediava sempre con piacere.
Alla festa di Sant’Isidoro mancavano solo otto giorni (18 maggio), ma dalla Prefettura non erano ancora arrivati i buoni della farina. Rispetto alla data di consegna tradizionale, quella volta ci fu un ritardo di dieci giorni. Per l’approvvigionamento della popolazione, ogni mese ne occorrevano circa 180 quintali. Le madri di famiglia incominciarono a lamentarsi: la festa incombeva e loro dovevano preparare il pane in tempo. Tanto ero preoccupato che mi assalii un sospetto: che fossero stati i signorotti, attraverso i loro amici infiltrati, ad aver fatto ritardare per qualche settimana l’invio dei buoni e impedire così la distribuzione della farina fino alla vigilia della festa. Un’abile mossa che mirava a rendere impossibile la panificazione e far mancare il pane proprio il giorno della festa. In tal modo, pensai, mi avrebbero addossato la responsabilità di non essere stato capace di garantire il sostentamento della popolazione.
In sezione, tra le diverse cose che si stavano esaminando prima della riunione del Consiglio comunale, parlai pure del sospetto che mi tormentava in merito al ritardo dei buoni per il ritiro della farina. Seduti di fronte a me c’erano gli assessori Pirri e Fadda, più altri compagni reduci e pregai loro di non far parola con nessuno del mio sospetto. Aggiunsi che, mi sarei mosso senza dare nell’occhio a nessuno. La sera stessa andai dal vice sindaco, tziu Boreddu Ibba per chiedergli se l’indomani alle dieci poteva andare in Comune giacché mi sarei dovuto recare a Cagliari con urgenza. Il motivo della mia missione nel capoluogo non glielo dissi, perché si sarebbe preoccupato eccessivamente, quantunque, con lo sguardo, mi facesse capire la sua ansia. A Cagliari ci dovevo andare: non mi restava che la speranza che qualcuno potesse aiutarmi a risolvere il problema dei buoni farina. Gli amici, la sera prima, mi dissero ch’era prudente che fossi accompagnato almeno fino al ponte di Tadasuni, scendendo la scorciatoia di Malocchis. Ringraziai della loro stima, risposi (pensando alla mia pistola), che preferivo andare da solo. “No!” Ribadirono tutti. “Almeno fino alla discesa di Malocchis è bene che ti stiamo vicini”. E, infatti, l’indomani mattina, verso le quattro, faceva ancora buio e, senza far rumore ci incamminammo verso la discesa di Malocchis, dove ci separammo. Per assicurargli che tutto procedeva bene, anche oltre il ponte del canale, feci un fischio convenzionale. Poco prima di Abbasanta, occultai la pistola nel solito muretto a secco e proseguì fino alla stazione per prendere il treno, proveniente da Macomer e, purtroppo, anche stavolta, in ritardo. Giunsi a Cagliari con l’affanno di non riuscire a risolvere i problemi m’ero promesso d’affrontare. Salii a piedi le irte salite del centro storico e arrivai all’Ufficio annonario, a fianco della Prefettura, dove erano rilasciati i buoni della farina per tutti i Comuni della Provincia. Mi presentai e chiesi se avevano spedito i buoni di Ardauli. Spiegai anche le ragioni della mia preoccupazione per lo stato d’animo della popolazione, visibilmente sofferente per il notevole ritardo. Uno dei funzionari presenti prese una cartella e, dopo averci rovistato sopra disse: «Qui buoni di farina per il Comune di Ardauli non ne trovo, si vede che sono stati già inviati». Ripetei che a noi non era arrivato nulla e che la calma del paese poteva trasformarsi in poche ore in rabbia incontrollabile. Chiesi di poter avere un duplicato e che, senza di esso non avrei lasciato l’Ufficio. L’impiegato, visibilmente dispiaciuto, mi rispose che duplicati non ne potevano rilasciare. Insistette nel dire che i buoni erano stati sicuramente spediti e che sarebbero arrivati.
Stava accadendo proprio quello che sospettai: i buoni sarebbero arrivati uno o due giorni prima della festa, con lo scopo di provocare le proteste della popolazione e attribuirmi le colpe per non essermi interessato in tempo. Se riuscivano nell’intento, i signorotti, le famiglie sarebbero state costrette a fare il pane il giorno della festa. Stando così le cose, non potevo certo rientrare in paese: senza buoni mi avrebbero sicuramente aggredito. E si, pensavo, i signori stavolta avevano studiato bene il tranello. Ma non era detta l’ultima parola: non mi persi d’animo e mi precipitai di corsa nella Federazione del PSD’AZ, in cerca di qualcuno che mi potesse darmi una mano per risolvere quel misterioso problema. Ci arrivai stanco e con la gola arsa dalla sete. Il cuore me lo sentivo battere al doppio e la rabbia che avevo in corpo non gli dava tregua. Ci trovai, come al solito, gli studenti universitari, Anton Francesco Branca e Marcello Tuveri, ai quali spiegai sommariamente in quale situazione ero venuto a trovarmi e, del sospetto che nutrivo sui signorotti di Ardauli. I due giovani ragazzi m’ascoltarono con attenzione e Branca intervenne dicendo che, quel giorno in città c’era l’On. Emilio Lussu. «Credo che in questo momento – affermò – egli si trovi nel Palazzo del Governo, perché deve incontrarsi con l’Alto Commissario. Ora provo a rintracciarlo col telefono».
La notizia che il Ministro Lussu si trovasse a Cagliari, mi rasserenò, pensando che lui avrebbe fatto di tutto per aiutarmi. Intanto, Anton Francesco, già s’era messo in comunicazione con Lussu, spiegandogli la situazione in cui mi trovavo nonché dei timori sulla probabile vendetta che i fascisti di Ardauli avevano escogitato per denigrarmi. Il Ministro Lussu invitò Branca ad accompagnarmi al Palazzo del Governo. Quando arrivammo in P.zza del Carmine, sulla soglia del Palazzo c’era già il comandante del posto di guardia che m’attendeva, il quale, con un gesto della mano mi indicò le scale per raggiungere la stanza del Ministro Lussu. Egli, pur sapendo com’erano andate le cose, volle che gliele riepilogassi. Lo feci in modo molto succinto, ma senza tralasciare i miei sospetti. Quindi, Emilio Lussu, prese il telefono, chiamò il Prefetto Villasanta e gli raccontò ciò che stava accadendo ad Ardauli. Poi, aggiunse: «Qui da me c’è il sindaco, mio amico, lo faccio andare in Prefettura… Chiedo che gli sia dato immediatamente il duplicato dei buoni per la farina, per 180 quintali, pari alla quantità di cui hanno diritto in quel Comune. I buoni che voi dite di aver inviato – proseguì il Ministro – non sono mai giunti a destinazione. Nel caso si rintracciassero in tempo, vorrà dire che serviranno per il mese successivo». Io, tanto ero contento che non sapevo come ringraziare Lussu. Prima di congedarmi da lui mi fece capire che il mio sospetto era del tutto legittimo. Ad ogni modo mi suggerì di non perdere tempo e di andare di corsa in Prefettura. E se nel caso sorgessero problemi, di farglielo sapere subito. Quando raggiunsi la Prefettura, il duplicato era già pronto e gli stessi impiegati che prima mi mandarono via, me lo consegnarono senza aprire bocca.