Finalmente, come dio vuole, arriva l’aprile millenovecentocinquantanove e termina questo lungo periodo passato a perdere tempo. Brucio la divisa con la quale mi congedano così come ho bruciato i libri di geografia e merceologia dopo la promozione alla quarta ragioneria. Cazzate, ora sono in grado di riconoscerlo, ma allora pensavo di purificare con il fuoco delle grosse ingiustizie. Poi, invecchiando, si matura.
Beh, ci sono anche dei bei ricordi, ammettiamolo. L’amicizia con i commilitoni, qualche veneziano caga-in-acqua, siciliani biondi come normanni o neri come beduini, calabresi impenetrabili, i più numerosi e, naturalmente più visibili, i napoletani, una percentuale di analfabetismo del 40%. Ad Albenga le ascensioni sulle montagne circostanti, per le quali mi offro volontario, a piantare la bandiera rossa d’allarme durante le esercitazioni di tiro (e poi aiutare le fanciulle nella raccolta delle olive). A Trieste girare la sera per le bettole a parlare con i vecchietti molto filo austriàchi (come li chiamano loro) e anti slavi, ciononostante simpatici con i loro racconti d’altri tempi mitteleuropei. A Trieste ci sono anche le più belle e simpatiche ragazze d’Italia, le mule, ma per chi è in divisa… solo donne di facili costumi, anch’esse peraltro simpaticissime. Nel 1958, durante la mia permanenza a Trieste, chiudono le case di tolleranza. Io e i miei amici di naia approviamo incondizionatamente la famosa legge Merlin, però la sera della chiusura definitiva ci ubriachiamo e non certo per festeggiare.