Dopo il lauto pranzo mi recai in Piazza San Cosimo e Damiano, invasa dalle baracche per la vendita di carapigna (ghiaccio, zucchero e limone), torroni, mostaccioli ed amaretti e notai un insolito affollamento nel portone della chiesetta. Il fatto m’incuriosì e decisi di dare una sbirciata dentro. Non riuscivo a credere ai miei occhi: era in corso un comizio politico svolto da una ragazza abbastanza giovane. Da sindaco avevo imparato a conoscere le regole e, dunque, sapevo che in luoghi di culto i comizi non si potevano fare e, neanche nelle piazze in concomitanza di feste religiose. Senza permesso del sindaco, comunque, i comizi non si potevano tenere e, men che meno, senza avere fatto regolare domanda per l’autorizzazione. Perché nel qual caso avrei concesso la Piazza Roma, distante dalla chiesa. Vidi che dai gradini dell’altare la ragazza, gesticolando, parlava male del Partito Comunista… che erano contro la religione… che nei paesi dell’Est c’era la miseria e la fame… che la Repubblica non era altro che un insieme di persone rivoluzionarie e in malafede. L’oratrice, dopo aver parlato male dei comunisti, attaccò il PSD’AZ e a seguire tutti i partiti antifascisti. Ero lì che l’ascoltavo, innervosito e ignaro della sua appartenenza politica. Ebbi il sospetto che fosse della Democrazia Cristiana, anche se mi sembrava inverosimile che i loro dirigenti avessero programmato un comizio in chiesa e per giunta a mia insaputa.
In piazza c’erano alcuni compagni che aspettavano l’inizio dei balli. Alcuni di loro s’accorsero del mio ingresso in chiesa e dell’espressione che avevo in volto e s’avvicinarono preoccupati che fosse accaduto qualcosa di grave. In quel giorno di festa, il brigadiere dei Carabinieri Solinas, avrebbe dovuto essere ad Ardauli, perché conosceva bene la temperatura politica che c’era. Invece rimase presso la caserma di Neoneli, nella quale succedette al maresciallo Cuccadu, andato in pensione. Il brigadiere, inviò due giovani dell’arma, sottovalutando il rischio di ciò che sarebbe potuto accadere.
Intanto, la giovane ragazza, durante il suo lungo comizio, rincarò la dose di critiche contro il Partito Sardo D’Azione, contro Emiliano Lussu, sostenendo ch’era un fuoriuscito, che aveva sparato contro un giovane milite fascista ammazzandolo e tante altre cose. All’udire di quegli insulti, non resistetti più e dal gradino del portone d’ingresso l’attaccai con un contraddittorio, definendola un’emerita bugiarda. Quei giovani Carabinieri che m’erano vicino, quasi con la forza cercarono di mettermi le mani addosso. I miei compagni erano nei pressi, pronti ad intervenire se solo gli avessi fatto un cenno. Fra questi v’era Giuseppe Lai che, vedendo che i militi tentavano di portarmi via, intervenne e con una rapida mossa strappò il moschetto ad uno dei due Carabinieri. L’altro visibilmente spaventato dall’audacia del Lai, non sapendo come reagire, rimase immobile. Mi resi conto che la situazione stava diventando pericolosa: c’era la festa in corso e non volevo arrivare a tanto e decisi che bisognava intervenire. “Io sono il sindaco — dissi ai Carabinieri che, con molta probabilità, ignoravano chi fossi — e chiedo a Giuseppe Lai di restituire immediatamente il moschetto. Voi dell’Arma, mi dovete spiegare perché non è venuto il brigadiere Solinas. Lui, infatti, sapeva — aggiunsi — che ad Ardauli c’è la festa e il rischio di disordini. Ora voi, se non volete compromettere la carriera, dovete entrare in chiesa e far uscire le persone che accompagnano quella ragazza. Dovete anche — precisai — chiedere loro le generalità e portarmele entro mezz’ora in Municipio. Vi attendo nel mio ufficio. Grazie e arrivederci». Meno male che quei giovani Carabinieri, poco più che ventenni fecero quello che gli dissi di fare. Dopo una ventina di minuti, infatti, salirono nel mio ufficio con l’elenco delle generalità delle persone che accompagnavano la comiziante. Costatai che erano tutte persone ex fasciste e iscritte al Partito dell’Uomo Qualunque, fra i quali il capogruppo in Consiglio comunale, Tore Carta. Insieme a questi c’era anche un certo Antonio Mauro Mura di Neoneli ed un altro signore di Samugheo. La ragazza che tenne il comizio in chiesa, anch’ella di Samugheo, era la figlia del colonnello medico. Durante tutto quel trambusto, nel sagrato della chiesa, persi di vista persino mio cugino Giovanni. Ad ogni modo, consigliai i compagni Nicolò Satta, Toni Flore ed altri, di non spostarsi dalla piazza durante i balli e per tutta la serata. A Giuseppe Lai, che disarmò il Carabiniere, consigliai invece di tenersi un po’ nascosto, perché quell’azione era grave ed il brigadiere Solinas non avrebbe certo fatto finta di niente. Quando la situazione tornò nella normalità, andai a trovare il parroco, don Tatti, tra l’altro, cugino di secondo grado di mio padre. Il sacerdote con me era in buoni rapporti, anche se molti dei suoi nipoti erano miei nemici politici. Suo fratello Salvatore, tuttavia, era consigliere comunale, eletto nella mia lista. A don Tatti raccontai ciò ch’era accaduto e, dalle sue risposte, capii ch’era stato preso in giro. Suo nipote, infatti, capogruppo dell’Uomo Qualunque, gli disse che sarebbe andata una ragazza dell’Azione Cattolica per fare una conferenza ai giovani della. parrocchia. Il prete, non seppe come scusarsi. Lui che di politica non se n’era mai occupato, neanche da giovane, ne capiva ancora meno ora che stava per raggiungere l’età di settant’anni. Mi promise che d’ora in avanti, nel caso si fossero presentate altre ragazze per tenere conferenze religiose, le avrebbe autorizzate solo in sua presenza, non fidandosi più di nessuno.
L’indomani mattina, giorno di festa dedicata a Sant’Isidoro, mi recai di buon’ora in Comune perché immaginavo che il brigadiere Solinas sarebbe venuto a trovarmi. Alle otto, infatti, egli era già ad Ardauli. Fra di noi ci fu un’accesa discussione: lui voleva arrestare Giuseppe Lai, accusato d’aver disarmato il giovane Carabiniere; io invece volevo denunciarli tutti e due perché non intervennero ad impedire il comizio che si teneva in chiesa durante i festeggiamenti di San Damiano. Dissi anche al brigadiere che avrei mandato una lettera in Prefettura, per denunciarne il suo irresponsabile comportamento giacché, egli, pur sapendo che in paese c’erano forti tensioni politiche, preferì restarsene a Neoneli. Benché giovane d’età, il coraggio di confrontarmi con il sottufficiale non mi mancava. L’esperienza che maturai nel frequentare Lussu e l’avv. Pietro Mastinu (principe degli avvocati sardi), Titiono Melis, Piero Soggiu, Luigi Oggianu, Emanuele Cau, Nicolò Mura, Angelo Corronca e tanti altri bravi esponenti di primo piano del sardismo socialista, mi dava forza morale e coraggio. Il brigadiere Solinas, manifestò il suo nervosismo e se ne andò senza che giungessimo ad un accordo. Ciascuno di noi, quindi, rimase sulle proprie posizioni. Rimasi profondamente deluso del suo comportamento: non aveva certo onorato la divisa che indossava. Nonostante quella parentesi di nervosismo, anche per Sant’Isidoro, furono riproposti più o meno gli stessi riti religiosi e lo stesso programma d’intrattenimenti civili e il brigadiere, stavolta assistette alla gare garantendone l’ordine pubblico nel migliore dei modi. Il Lai, di cui ero preoccupato per il suo arresto, fu lasciato libero e io non feci alcun ricorso alla Prefettura.