In posizione dominante era Amendola, detto “Giorgione” a causa della sua mole imponente: nel periodo di massimo splendore della sua prestanza fisica raggiunse il peso di centotrentasei chili (!). Forte personalità e imponenza sostenevano il suo carisma. Pochi anni dopo Giorgione diventerà mio suocero e toccherà anche a me registrare in modo diretto, e qualche volta subire, la sua severità, il suo rigore, la sua intransigenza. L’unica trasgressione che si consentiva era nei confronti del cibo: sembrava avere un costante bisogno di alimentare la sua enorme corporatura. Ricordo che spesso prima di rientrare a casa ci si fermava in una fornitissima rosticceria del centro di Napoli dove Amendola ingurgitava con voracità un discreto numero di “arancini” di riso alla napoletana, dei quali era ghiotto, per poi presentarsi in famiglia a mangiare con dignitosa rassegnazione il trito di sedano e carote crude che l’adorata moglie Germaine, obbediente alle prescrizioni dei medici, gli aveva preparato.