[6 giugno – giovedì]
La Repubblica ha vinto con una maggioranza di poco più di due milioni di voti.
Tra me e la mia famiglia è avvenuta la lacerazione, che sentivo a volte aleggiarmi intorno come una minaccia sospesa nell’aria nei giorni scorsi e che avevo rimosso come un problema che avrei affrontato “dopo”. Il “dopo” è venuto.
Ieri la notizia della vittoria repubblicana mi era stata anticipata da Gianna, prima della comunicazione ufficiale. Si è presentata a casa con un fascio di garofani rossi per farmi gli auguri di compleanno, dicendomi: – Sono repubblicani! – mentre mi abbracciava sorridendo con aria complice.
Quando lei è andata via sono corsa con i fiori nelle braccia a dare la notizia a mamma. Prevedevo che per lei non sarebbe stata esattamente una buona notizia, ma speravo che di fronte al verdetto popolare avrebbe finito con l’accettare la realtà. Invece è stato molto peggio di quanto non credessi. Mi ha guardato con un’espressione “nemica” negli occhi, con animosità, come se fossi “io” la responsabile di quella che per lei e per tutti loro è una sconfitta.
E questo clima di cupo sconforto ha dominato l’intera giornata. Ieri sere prima di andare a letto li ho guardati tutti e ho chiesto polemicamente – Ma insomma, cosa avete con me? – E proprio lei, mamma, con le lacrime agli occhi mi ha accusato, diciamo, di tradimento: – In questo momento tu sola ci sei lontana, come un’estranea. Proprio quando avremmo voluto essere tutti uniti! –
Mi sono sentita esclusa, incapace di mettere insieme due parole adatte al momento e alla situazione. È stato duro.