Il 1953 iniziato con le luttuose notizie da Mosca, fu un anno di altri grandi avvenimenti. La Democrazia Cristiana, facendo fede a un vecchio proverbio secondo il quale l’appetito vien mangiando, non contenta del 50 per cento dei voti che raccoglieva ad ogni elezione, tentò di rimediare ancora più potere. Fu proprio Alcide De Gasperi l’ideatore di quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo capolavoro politico e che invece passò alla storia, più semplicemente, come la “legge truffa”.
In che cosa consisteva? Semplice. Un gruppo di partiti apparentati che avesse ottenuto la maggioranza dei voti elettorali, avrebbe in cambio ottenuto i due terzi dei seggi in parlamento, cioè una maggioranza non solo in grado di governare e di sgovernare, ma, persino, di modificare la Carta Costituzionale. Una bazzecola, insomma.
Sicché io, tanto per fare un esempio, tapino giornalista d’opposizione che fino ad allora mi ero dovuto accontentare della scomunica, dei processi per vilipendio e di qualche manganellata da parte degli omoni di Scelba, da quel momento avrei potuto aspettarmi di tutto. Ne accaddero infatti di ogni colore. La “legge truffa” venne addirittura annunciata come approvata in Senato dal presidente Meuccio Ruini, nel corso di una riunione-tumulto, dopo che erano state impedite le dichiarazioni di voto degli oppositori e falsificati i risultati stessi di quella votazione fantasma.
Ugo La Malfa, che era nel governo essendo ministro del commercio con l’estero, interrogato dai giornalisti all’uscita dall’aula, non seppe dire cosa fosse avvenuto esattamente.
“In coscienza – affermò – non saprei dire su che cosa si sia votato”.
Lo scandalo raggiunse un livello tale che persino la Democrazia Cristiana fu costretta a fare marcia indietro e ad affidare al corpo elettorale il giudizio sull’ardito progetto di De Gasperi. Fu un bel tracollo per la DC che perse il dieci per cento del suo elettorato passando al quaranta per cento dei voti e per gli “apparentati”, socialdemocratici, liberali e repubblicani che, insieme, non riuscirono a raggiungere il dieci per cento. La legge truffa quindi non passò facendo sfumare il sogno di strapotere della DC. De Gasperi dovette tornarsene nella sua Valsugana.
Era il giugno del 1953 ed io ricordo, particolarmente, la sera conclusiva, quando iniziarono gli scrutini delle schede. La folla cominciò a giungere in piazza Cavour. Sulla facciata del Palazzo dei giornali, il nostro vicino “Corriere Lombardo” aveva affisso due enormi cartelloni che avrebbero dovuto continuamente essere aggiornati man mano che le telescriventi sfornavano i risultati. In quei tempi, tutte le elezioni erano al cardiopalmo. Il Ministero degli interni, su cui regnava l’amico Scelba, non comunicava mai i risultati senza manipolazione oppure non li comunicava affatto. Se i risultati erano particolarmente buoni per le opposizioni, si poteva star certi che il silenzio avrebbe regnato sovrano per ore e ore.
Quel giorno, appunto, i risultati ufficiali vennero ad un certo punto interrotti sicché anche il “Lombardo” dovette ricorrere agli uffici elettorali che l’Unità, il PCI e il PSI avevano allestito in tutto il paese. E fu così, quando la folla aveva ormai strariempito piazza Cavour, una parte di via Manzoni, di via Senato e di via Fatebenefratelli e i tram avevano deviato dai loro percorsi abituali, che si venne a sapere della sonora bocciatura della legge truffa.