Fu una delle costituenti decisive nell’elaborazione
degli articoli sulle donne, già nella Commissione
dei 75, e aveva impresso all’organizzazione una
spinta coraggiosa, evangelicamente laica, che non
avrei incertezze a chiamare emancipazionista.
P. GAIOTTI DE BIASE
Maria Agamben Federici nasce a L’Aquila, il 19 settembre 1899. Animata da una profonda fede, la giovane si forma sulle pagine dei due principali teorici del pensiero cristiano sociale, Emmanuel Mounier e Jacques Maritain. Consegue la laurea in lettere e intraprende la professione di insegnante. Incontra Mario Federici, anch’egli aquilano, affermato autore e critico teatrale, con il quale si sposa nel 1926. Il sentimento antifascista conduce i coniugi all’estero, a Sofia, in Egitto e a Parigi dove Maria insegna presso gli Istituti italiani di cultura. Rientrata in Italia nel 1939 si impegna nell’apostolato laico e nella Resistenza cattolica. Tra le varie realizzazioni in questo ambito brilla il piano di assistenza dell’Udaci per le impiegate disoccupate. Nell’agosto del 1944 è eletta delegata al Congresso istitutivo delle Acli: prima donna ad avere tale incarico; nel marzo del 1945 alla Settimana di orientamento politico, è l’unica donna tra le relatrici: in questa occasione le viene affidato il compito di seguire le iniziative sul tema del suffragio. La profonda fede cattolica, la frequentazione di mons. Montini, contribuiscono a fare di lei una delle più assertive sostenitrici dell’autonomia delle donne cattoliche, per conseguenza è contraria alla confluenza nell’Udi e si impegna nella fondazione del Cif, che, su indicazione di Maria Rimoldi, presiede dal 1945 al 1950 con energia e passione. Sono anni difficili, di lavoro intenso, il Cif si radica su tutto il territorio nazionale e la presidente orienta l’attività in soccorso agli sfollati ed ai reduci; dispiega una pluralità di iniziative per l’infanzia. Nell’incarico di presidente del Cif, ella fonde le sue specifiche competenze professionali e quelle politiche come dimostrano, tra le altre, l’inchiesta del 1945-46, finalizzata a sondare le aspettative femminili rispetto alla democrazia; quella del 1949, che offre uno spaccato sociale di notevole interesse sulle condizioni in cui versava il Paese e quella sulle casalinghe. Nel 1950 Maria consegna le dimissioni al Cif. Dimissioni che giungono dopo aspre discussioni e polemiche che accusavano la presidente di un’eccessiva autonomia decisionale, riscontrabile, stando a critiche e malumori, nella fondazione da parte sua di tre organizzazioni, Ona, Anfe, Case del Sole. A preoccupare una parte del Cif anche l’afflusso di nuove leve, giovani professioniste considerate base di un possibile rafforzamento personale.
Candidata nelle liste della Dc alla Costituente, Maria Federici affronta con energia e tenacia la campagna elettorale. Brava giornalista, con qualche anno di esperienza alle spalle, interviene sulla stampa convinta che timidezza, ignoranza, in qualche caso apatia e senso di sfiducia diffusi tra le masse femminili necessitino di un dialogo diffuso e serrato con donne e uomini. La presidente inquadra in un’ottica ampia la questione del voto, nella consapevolezza che dietro all’opposizione si annidi una concezione arretrata delle relazioni familiari che contraddice gli stessi principi cristiani. Eletta nella I e nella II Legislatura, la deputata è relatrice del disegno di legge sulla «Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri» che diverrà la famosa legge n. 860 del 1950; sempre in questi anni, con Lina Merlin, Angela Guidi Cingolani e Maria De Unterrichter Jervolino, fonda il Comitato italiano di difesa morale e sociale della donna, finalizzato all’approvazione della proposta Merlin sulla chiusura delle case chiuse e per il reinserimento sociale delle prostitute. Più duraturo l’impegno nell’Anfe (Associazione nazionale famiglie emigrati), che fonda nel 1947 con la volontà di trovare adeguate soluzioni al fenomeno dell’emigrazione che vede massicci flussi nella fase della ricostruzione. Maria manterrà l’incarico di presidente per trentaquattro anni favorendo l’estensione dell’Anfe oltre i confini nazionali. Nel 1981 lascia la Presidenza dell’Associazione e si trasferisce a L’Aquila ma non abbandona l’Anfe, collabora alla preparazione del disegno di legge n. 356, presentato al Senato, sul nuovo ordinamento della scolarità dei figli degli emigrati.
Nel 1957 pubblica la memoria Il cesto di lana.
Muore il 28 luglio 1984, all’età di 85 anni. «Il Popolo» elogiava il carisma e il carattere “battagliero” del suo impegno.