Sergio Simoni nasce a Comacchio, in provincia di Ferrara, nel 1927. È il secondo figlio di una coppia che convive more uxorio e che solo dopo la sua nascita deciderà di contrarre il matrimonio civile. I Simoni vivono del magro stipendio del padre, guardia giurata presso il consorzio delle Valli di Comacchio, e di quel po’ che riesce a guadagnare la madre prendendo a casa del lavoro da un lanificio. La fede politica di entrambi – repubblicano lui, di famiglia socialista lei – comincia ben presto a causargli dei problemi nell’ormai affermato regime fascista.
Nel 1939 una zia emigrata a Moncalieri li informa delle possibilità di lavoro nel torinese: Sergio, il fratello e le due sorelline partono con i genitori alla volta del Piemonte. Scoppia la guerra: in famiglia ci si arrangia alla meglio per tirare avanti, tra lavori di fatica e la tessera per il pane che non basta mai. Quando il fratello maggiore, Giovanni, aderisce alle brigate partigiane di Enrico Martini “Mauri”, Sergio si trova quasi senza rendersene conto coinvolto: non ha ancora compiuto diciassette anni quando entra nella Resistenza con il nome di battaglia di “Pellegrino”.
Dopo la guerra trova lavoro dapprima in una piccola fabbrica di Moncalieri, la Cervesato, quindi alla Lancia di Torino. In entrambi i casi si fa valere come sindacalista, in particolare fra le operaie, delle quali difende il diritto alla riscossione dei salari arretrati.
Il dibattito intorno al referendum istituzionale lo vede seguire con trepidazione le indicazioni del suo partito, il PCI; il rammarico principale è che, con i suoi diciannove anni scarsi, non possa prender parte al voto. La gioia per la vittoria dell’esito repubblicano segna l’inizio di una nuova stagione di impegno sindacale e politico, e le prime elezioni della neonata Repubblica, il 18 aprile del 1948, sembrano il banco di prova migliore. Simoni annota nelle sue memorie lo sconforto per quei risultati: si cercano colpe ed errori. Nel partito è presente l’area più radicale protesa nell’idea dell’azione di forza per tanto attesa – loro dicono – ma sempre rinviata. Alla delusione si somma la rabbia per le mancate epurazioni dei fascisti dagli incarichi istituzionali.
Il malcontento arriva al suo acme il 14 luglio 1948, quando il fascista Pallante spara a Togliatti, e il leader comunista rimane tra la vita e la morte per qualche giorno. Sergio e compagni vivono giorni frenetici, di trepidazione e attesa di direttive dall’alto. Le acque si placheranno e la guerra civile verrà scongiurata; resterà il senso di beffa per una stagione di lotte politiche entusiasmanti ma combattute ad armi impari contro la dilagante Democrazia Cristiana.
Fino agli anni duemila Sergio Simoni rimane attivo politicamente (sebbene “il partito” per antonomasia non esista più) e nel sindacato: in ultimo è lo SPI – CGIL.
Muore nella sua Moncalieri nel 2010.