Nell’immediato dopoguerra, i partigiani dell’Emilia offrono ospitalità ai bambini lombardi le cui famiglie stanno attraversando un periodo difficile, con l’intento di fornire loro un aiuto momentaneo, generalmente per un periodo dai tre ai sei mesi.
Uno di loro è Daniele Granatelli, che all’età di quattro anni viene accompagnato alla stazione ferroviaria dalla madre – con un altro figlio e in attesa di un terzo – con la promessa che, al suo arrivo, l’avrebbe trovata lì ad attenderlo. Alla stazione di Reggio Emilia, invece, ad accoglierlo c’è una famiglia di contadini a lui sconosciuta alle cui regole e stile di vita il giovane fa fatica ad adattarsi. Anche nelle giornate più piacevoli la mancanza dell’amata madre si fa sentire, come ricorda nel suo diario: «Quando mi veniva la crisi mi allontanavo da casa e mi inoltravo nei campi, mi appoggiavo ad un olmo e piangevo… Parlavo con lei come se mi fosse di fronte… Quanto sei bella! Tu sei la
vera madonna, ti voglio tanto bene».
Il duro lavoro nei campi e la severa educazione non gli impediscono però di apprezzare l’aiuto ricevuto e di voler bene alla sua nuova famiglia: Daniele è consapevole che per merito loro ha imparato ad amare la campagna, conoscerne le stagioni e apprezzarne la bellezza. Seppur con il loro affetto a tratti burbero si prendono cura di lui, lo fanno studiare e sopperiscono alla quasi totale assenza della madre che, nel lungo periodo di distacco, gli invia poche lettere e lo va a trovare una sola volta.
I giorni passano e i sei mesi inizialmente concordati diventano presto otto lunghi anni, dopo i quali Daniele, ormai adolescente, riesce a tornare dalla madre. La realtà che il giovane si trova davanti è però ben diversa da quella sperata: di fronte alle difficili condizioni economiche, la madre, indurita dalla vita, dalla povertà e dalle privazioni, gli chiede immediatamente un sostegno finanziario. Convinto a voler proseguire gli studi e raggiungere la licenza media, egli è costretto a studiare e lavorare: è infatti dapprima apprendista, poi operaio in fabbrica, dipendente delle Poste, lavoratore autonomo fino a che, dal 1977, lavora in Nigeria e in Sud America.
Sposato dall’età di 23 anni e con due figli, torna dalla madre ogni due-tre anni, ma il tempo e le esigenze sembrano non cambiare mai: «Finalmente sei arrivato – mi dice – c’è l’orto da zappare. Pulire la cantina. Mettere in ordine il garage. Dopodiché mi saluta. Me la stringo al cuore, le accarezzo i capelli mentre lei continua a borbottarmi l’elenco delle cose da fare….».
Il diario di Daniele Granatelli, Il sapore del pane, ha vinto nel 2003 il Premio Pieve dell’Archivio Diaristico Nazionale ed è stato pubblicato nel 2004 dall’editore Terre di mezzo con il titolo Il sapore del pane memoria 1945-1998