Giorgio Rossi nasce a Roma l’8 dicembre 1927.
Dopo aver conseguito la licenza liceale al Collegio Nazareno di Roma, nel 1946 accetta la proposta dello zio Guglielmo Emanuel, direttore del Corriere della Sera, che lo fa assumere in praticantato presso la sede romana del giornale.
La vita di redazione è stimolante e Giorgio ha il privilegio di lavorare, giovanissimo, con alcuni tra i migliori giornalisti dell’epoca. C’è però un problema: l’indirizzo del Corriere è apertamente anticomunista mentre Giorgio, da un po’ di tempo, sta frequentando la sezione del PCI del suo quartiere, e questo gli crea una crescente sensazione di disagio. Per qualche anno cerca di tenere a bada l’insofferenza, riconoscendo il prestigio del giornale, finché nel 1950, a ventidue anni, decide di rassegnare le dimissioni.
Non resta a lungo senza lavoro: trova infatti quasi immediatamente un posto nella redazione di Paese Sera, di orientamento comunista. Lo stipendio che riceve lavorando nel nuovo giornale è un terzo di quello che percepiva per il Corriere: il PCI, infatti, retribuisce i giornalisti della stampa comunista come semplici funzionari di partito, non applicando per loro il regolare contratto della categoria. Per Giorgio non è un problema: Ci ritenevamo gente speciale, lavoravamo per un ideale, scrive. E ancora: In sostanza eravamo tutti poveri, ma fieramente poveri. Anche la sede è radicalmente diversa: tanto elegante e silenziosa quella del Corriere, quanto povera, disordinata e chiassosa quella di Paese Sera.
Intanto Giorgio vive anche la classica vita di un giovane militante del PCI: partecipa a manifestazioni, tiene comizi, incolla manifesti, finisce coinvolto in scontri con i neofascisti e in cariche della polizia.
Nel 1951 la Direzione del PCI lo trasferisce a Milano, alla redazione di Milano Sera, ma il giornale ha vita breve: viene infatti chiuso nel 1954.
Tornato a Roma, si trasferisce all’Unità. Qui vive in pieno il tumultuoso 1956, foriero di grandi dubbi e disillusioni per lui e tanti suoi compagni di partito e di redazione: prima il XX congresso del PCUS, durante il quale vengono denunciati i crimini di Stalin, poi la repressione nel sangue della rivolta degli operai di Poznan, quindi i carrarmati sovietici a Budapest. Soprattutto quest’ultimo evento colpisce duramente l’animo di Giorgio: infuriato con la dirigenza del PCI, che si schiera ufficialmente dalla parte dell’URSS, rimasto solo all’interno della redazione dell’Unità, decide di lasciare il giornale e di non rinnovare la tessera del partito.
Nuovamente disoccupato, ma con in mano un curriculum di tutto rispetto, viene scelto da Luigi Bertett come direttore dalla casa editrice Lea che pubblica alcune riviste, tra le quali il settimanale ufficiale dell’Automobile Club d’Italia. Vi lavora per undici anni.
Nel 1968 va a lavorare per Mondadori, scelto dall’amministratore delegato Mario Formenton come direttore generale della Video International, società con la quale la casa editrice di Segrate tenta di muovere i primi passi nel mondo del VHS. L’esperienza non dura a lungo: dopo un periodo di collaborazioni a progetti editoriali secondari, nell’estate del 1975 viene chiamato da Eugenio Scalfari per far parte della neonata Repubblica. Inizialmente assunto come semplice redattore, ne sarà a lungo editorialista e commentatore politico.
Nel 1988, scelto da Walter Veltroni, torna al Paese Sera, questa volta nel ruolo di direttore. L’obiettivo del PCI è quello di rilanciare il giornale, ma il tentativo, senza adeguati mezzi finanziari, si rivela fallimentare. Conclusa anche questa esperienza, continua a scrivere saltuariamente su vari quotidiani italiani come commentatore.
Nel 1999 inizia a scrivere un’autobiografia intitolata Niente di Personale. L’anno successivo il testo è inviato all’Archivio Diaristico Nazionale.
Giorgio Rossi muore nel novembre del 2011.