Antonio Ruju nasce a Tissi, in provincia di Sassari, il 2 giugno 1911, da una famiglia di contadini. Il padre è socialista.
La sua infanzia è caratterizzata da un’estrema povertà: non ha le scarpe, non frequenta nemmeno un anno di scuola e sin da bambino è costretto ad aiutare la famiglia nei campi, lavorando come bracciante e conducendo i buoi al pascolo. A scuola si può recare solo qualche domenica, durante i giorni di pioggia in cui non è possibile lavorare in campagna, ma certo non per studiare: aiuta infatti la donna delle pulizie, che in cambio gli dà mezza lira. A volte, racconta, si siede su un banco e fantastica d’essere uno scolaro.
Da adolescente trova lavoro in un cantiere edile a Sassari, dove i muratori lo impiegano nel trasporto di materiali da costruzioni. È un lavoro pesantissimo, per il quale subisce dei danni permanenti alla schiena che si manifesteranno più volte con atroci dolori nel corso della sua vita.
A 18 anni inizia finalmente il riscatto: riuscendoabilmente a nascondere durante gli esami di selezione il suo analfabetismo, si arruola nella Guardia di Finanza e viene trasferito a Verona, dove inizia l’addestramento teorico e pratico per diventare finanziere. Il primo giorno di lezione viene scoperto che è analfabeta: il maggiore Passamonti gli comunica che sarebbe stato immediatamente rimandato a casa con foglio di via ma Antonio, inginocchiandosi e implorando, riesce a convincerlo a farlo restare. Con l’aiuto di un altro allievo, Sansonno, che è maestro elementare, riesce a imparare a leggere e a scrivere in breve tempo. Sono mesi di intenso sacrificio, diviso tra studio e addestramento militare, ma per Antonio, abituato al lavoro e alla fatica dei campi di Tissi e dei cantieri edili, è tutto un divertimento: Non solo non dovevo sopportare lavori pesanti, ma mangiavo carne tutti i giorni, scrive, Io non avrei scambiato il più brutto giorno passato nel battaglione col più bello di Tissi.
Superato l’esame finale diventa finanziere e viene mandato a Genova, dove resta in servizio tre anni nella brigata Cristoforo Colombo. Nel giugno del 1933 muore suo padre, ammalatosi di cancro. La madre resta sola con quattro figli piccoli e Antonio le inoltra gran parte della sua paga.
Nel 1934 viene inviato a Forni Avoltri, sul confine con l’Austria: vi resta due anni.
Nell’inverno del 1936 i dolori alla schiena di cui soffre da tempo si acuiscono improvvisamente. I medici gli diagnosticano il morbo di Pott, e Antonio viene trasferito in un sanatorio di Anzio dove è obbligato a indossare un busto di gesso che lo tiene completamente immobilizzato per 37 mesi.
Intanto prosegue a studiare: ottiene la licenza elementare, la licenza media e infine, nel 1937, riesce a conseguire la maturità tecnica.
Verso la metà del 1940 viene finalmente dimesso dall’ospedale di Anzio e dopo un anno di convalescenza torna in servizio in Piemonte, alla frontiera francese. Nel 1942 si sposa con Giuliana e prende casa ad Avigliana, in provincia di Torino.
Alla notizia dell’armistizio italiano con gli Alleati, l’8 settembre 1943, e alla conseguente nascita della Repubblica di Salò, Antonio decide di aderire alla Resistenza ed entra in contatto con Giulio Nicoletta, futuro comandante della 43esima divisione “Sergio de Vitis”. Considerati i problemi alla schiena di cui soffre Antonio, Nicoletta gli ordina di non trasferirsi con la banda sulle montagne, ma di rimanere in servizio nella Guardia di Finanza e di controllare i movimenti delle truppe tedesche e fasciste. Si distingue in particolare durante gli ultimi giorni di guerra: bluffando, riesce a convincere il comandante del contingente tedesco che occupa Avigliana di essere circondato da soverchianti forze partigiane, e ne ottiene la resa senza che venga sparato un solo colpo. Per le azioni compiute durante le lotta di Liberazione gli viene conferita, a guerra conclusa, la Croce di guerra al Valor Militare, che però rifiuta per coerenza con l’ideale anarchico che ha abbracciato proprio in quegli anni partigiani.
Abbandonato il corpo della Guardia di Finanza, intraprende la libera professione lavorando prima come commercialista, quindi, a partire dal 1960, come agente di borsa, il che gli consente di raggiungere una notevole agiatezza economica. Intanto aderisce alla Federazione Anarchica Italiana, di cui diventa uno degli esponenti di punta, quindi ai Gruppi di iniziativa anarchica.
Ritiene il suo mestiere nella finanza un furto legalizzato, peggio che fare il borsaiolo: destina quindi la gran parte dei suoi introiti al perseguimento dei propri ideali, attraverso la partecipazione attiva ad eventi culturali e politici, la coltivazione di amicizie con personalità di rilievo, l’acquisto di un gran numero di libri. Viaggia molto ed entra in contatto con gli anarchici spagnoli che si oppongono al regime franchista.
Nel 1983 perde la moglie Giuliana, stroncata da un attacco cardiaco.
Raggiunta l’età della pensione torna a Tissi, sua città natale, e dona alla biblioteca comunale circa 1600 volumi.
Negli anni ’80 scrive la propria autobiografia con l’aiuto del professore Paolo Soddu. Lo scritto, intitolato Da Tissi a Torino: vita di un anarchico sardo è stato consegnato in copia all’Archivio Diaristico Nazionale nel 1987. Ad Antonio Ruju è dedicato uno dei sette documentari de “I Diari della Sacher”, prodotti da Nanni Moretti e Angelo Barbagallo.
Si spegne nel 2002.