Vittoria Titomanlio nasce a Barletta il 22 aprile 1899, da Sabino e Carolina De Boffe. La giovane frequenta le scuole Normali ottenendo il diploma di maestra elementare e si impegna nell’associazionismo cattolico. Nel 1928 e lungo il decennio successivo, ella si dedica a una vasta attività formativa e di assistenza a favore di lavoratori e donne. Nel 1932 è nominata propagandista nazionale. Con la caduta del regime, Vittoria passa dal lavoro sociale a quello più propriamente politico con incarichi importanti: è consigliera nazionale dell’Associazione italiana maestri cattolici, segretaria provinciale delle Acli, delegata nazionale del Movimento femminile per l’artigianato italiano, membro del Comitato consultivo ministeriale per l’artigianato e le piccole industrie. Il partito la nomina nel Consiglio nazionale del movimento femminile, nel 1947 è nel Comitato centrale e collabora con la delegata Maria De Unterrichter Jervolino. Eletta nel 1946 con 20.861 preferenze, nell’Assemblea difende l’autonomia regionale quale espressione di democrazia e di libertà. La deputata inaugura una lunga carriera parlamentare che va dal 1948 al 1968, ben quattro legislature durante le quali partecipa ai lavori di diverse Commissioni, occupandosi principalmente di tematiche inerenti il lavoro e l’assistenza, l’industria e il commercio, le belle arti e l’istruzione. Accanto agli impegni istituzionali, Vittoria coltiva un’ampia partecipazione ad enti ed associazioni cattoliche nel campo dell’artigianato, delle professioni e del lavoro. Nel 1950 Vittoria Titomanlio ha il suo momento di visibilità. In un ristorante romano, “da Chiarina”, dove, in una calda giornata di luglio, sta pranzando, mentre sopraggiungono Oscar Luigi Scalfaro e Umberto Sampietro, una donna, avvertendo caldo, si toglie il bolerino, restando, come suggeriva la moda di quegli anni, con un abito prendisole. Oscar Luigi Scalfaro scandalizzato si lascia andare a commenti: «È uno schifo! È una cosa indegna ed abominevole! Lei manca di rispetto al locale ed alle persone presenti. Se è vestita in quel modo è una donna disonesta. Le ordino di rimettere il bolerino». Anche Sampietro protesta: «È una bestia vestita così». Scoppia un’accesa discussione e la signora, appresa l’appartenenza alla Dc dei suoi interlocutori, dichiara la propria simpatia per l’Msi. Vittoria Titomanlio, che fino a quel momento non è intervenuta, le dà della «fascista». La faccenda finisce, oltre che sui giornali, in Questura, senza conseguenze per i tre parlamentari.
Vittoria Titomanlio muore a Napoli il 28 dicembre 1988.