Era una donna pulita. Riceveva spesso lettere di una
violenza inaudita, con scurrilità paurose, fotografie
immonde. Rimaneva stordita, non capiva. Per quello
che ricordo non ha mai accettato un compromesso,
né dal partito, né dagli altri. Lavorava moltissimo.
R. MONACCHINI
Angela Merlin, detta Lina, nasce a Pozzonovo (Padova), il 15 ottobre 1887, presto è affidata alle cure della nonna, figura centrale nella formazione della piccola Lina che ama la musica, suona il violino e compie gli studi presso il Collegio delle Canossiane. La famiglia si trasferisce a Padova dove Lina inizia a lavorare come maestra, ha vent’anni, poi raggiunge Grenoble (Francia) per seguire un corso di lingua francese, è il primo passo per ottenere l’attestato per l’insegnamento di lingua e letteratura francese nelle scuole medie e per l’accesso all’Università di Padova alla quale si iscrive. La guerra è alle porte. I suoi fratelli, come del resto molti altri giovani mossi da patriottismo e onore, la salutano con entusiasmo. Lina è meno convinta, capisce che si tratta di ben altro che di una valorosa avventura, una posizione che insieme ai valori trasmessi dalla famiglia, il senso di giustizia, più che le salde letture, la conducono al Partito socialista italiano. La scelta è tutt’altro che facile, non solo per le violenze fasciste ma per il fatto che neanche tra i compagni suscita ammirazione una ragazza di buona famiglia che si occupa di politica, ma Angela è ormai una donna che ha superato i trent’anni e non si lascia impressionare dalle maldicenze, si impegna organizzando attività educative, promuove una biblioteca, pubblica articoli su «L’Eco dei Lavoratori» e su «La Difesa delle Lavoratrici» dove manifesta le sue idee a favore della emancipazione femminile. Nel 1926, già schedata dal Casellario politico centrale, la dirigente socialista lascia Padova per Milano per sfuggire alla repressione, ma non ci riuscirà. Arrestata, è condannata dal Tribunale speciale a cinque anni di confino in Sardegna: una bella foto la ritrae con il costume locale. Raggiunge l’Isola dopo un viaggio faticoso, esperienza che costituisce un vero topos nelle memorie dei confinati e delle confinate. Sosta a Nuoro, poi a Dorgali, dopo qualche mese ad Orune (Nuoro). I disagi sono numerosi, difficile la comunicazione con le popolazioni del luogo: come tanti antifascisti, sconta una pesante solitudine. Nel 1929, dopo aver ottenuto un anno di amnistia, torna a Padova per un breve periodo, poi è a Milano dove incontra una vecchia amicizia, Dante Gallani, vedovo e padre di due figli. I due si sposano ma l’unione è breve, circa un anno dopo lui muore, e a Lina resta il conforto dei figli di lui e di Franca Cuonzo, figlia di una cugina morta prematuramente che ha deciso di adottare. Alla metà degli anni Trenta l’organizzazione clandestina antifascista è fragile, sopravvivono i comunisti e con loro ella prende contatto pur non iscrivendosi al partito. Con l’8 settembre del 1943, entra nella Resistenza: la sua casa diviene un luogo di rifugio per i compagni e di deposito di materiali, spazio sicuro per le riunioni; è tra le fondatrici dei Gruppi di difesa della donna. Con la Liberazione, Lina entra nella direzione del partito, così si trasferisce a Roma. È eletta alla Costituente; nel 1948 è eletta al Senato, insieme a lei ci sono tre donne; nel 1953, alla sua seconda Legislatura, è sola; nel 1963 sarà eletta alla Camera. Nel 1948 ella dà inizio al tenace e contrastato impegno a favore di una legge sulla abolizione della regolamentazione della prostituzione. Approvata, dopo un iter parlamentare di dieci anni, nel 1958 passa alla storia con il nome della senatrice Merlin. Nel 1951 è in Polesine, tra le valli inondate dal fango, tra le macerie e una popolazione stremata; ed è lì nelle successive alluvioni: impegno civile e politico nelle istituzioni contraddistinguono il suo operato, come testimoniano i tanti interventi al Senato. Nel 1961 esce dal Partito socialista: profondi dissidi la separano dalla direzione ed aderisce al Gruppo misto. Nel 1963 è eletta alla Camera ed entra nella Commissione antimafia. L’instancabile lavoratrice si ritira a Milano presso la Casa della Laureata della Fildis, e solo negli anni Settanta la deputata ha un ultimo momento di visibilità. È il 1974, l’Italia si divide sul referendum per il divorzio, Lina non esita a schierarsi dalla parte del SÌ, a favore dell’abrogazione della legge Fortuna-Baslini, convinta che l’istituto del divorzio avrebbe potuto danneggiare le donne. Una posizione che suscita discussioni.
Nel 1955 pubblica con Carla Barberis Lettere dalle case chiuse e nel 1989 La mia vita, libro intervista a cura di Elena Marinucci.
Muore il 16 agosto del 1979.