Volendo usare un termine che oggi
va di moda, potrei dire che era una donna dotata
di una forte autostima.
G. TEDESCO
Adele Bei nasce il 4 maggio 1904, a Cantiano (Pesaro), da una famiglia contadina di simpatie socialiste. Dopo la terza elementare, Adele è costretta a interrompere gli studi, lavora come operaia e partecipa al biennio rosso; ha solo diciotto anni quando sposa Domenico Ciufoli, militante comunista presto ricercato dalla Pubblica Sicurezza. Ai due non resta che espatriare all’estero seguendo le traiettorie comuni a molti antifascisti: il Belgio, il Lussemburgo, infine la Francia. A Marsiglia Adele lavora in fabbrica per due anni, poi si impiega come commessa. Nell’emigrazione nascono Angelina e Ferrero, ma la giovane madre ha compiuto la scelta, è decisa ad entrare in clandestinità, così affida i figli alla Casa internazionale per l’infanzia di Ivanovo, in Urss, addetta all’ospitalità dei bambini dei dirigenti comunisti colpiti dalla repressione. Adele rientra in Italia dove collabora con il Soccorso rosso, mantiene i contatti e diffonde la stampa nella rete clandestina del Pci: i rischi sono numerosi, alti i sacrifici, tra questi la rottura dei legami affettivi e la solitudine. Nel 1933 Adele è arrestata per attività sovversiva, condannata dal Tribunale speciale a diciotto anni di reclusione, rinchiusa prima alle Mantellate di Roma e poi a Perugia. Presto la “madre in carcere”, dall’inconfondibile accento marchigiano difficile da perdere, come lei stessa ammetterà, diviene un esempio per le più giovani e figura significativa nella costruzione di un modello femminile antifascista, che riduce e depura da ogni elemento lacerante la scelta difficile e complessa delle militanti che implica altissimi costi proprio sul piano della maternità. Nel 1941 è inviata al confino a Ventotene; caduto il regime, nell’agosto del 1943, Adele Bei attraversa quel braccio di mare che la divide dalla terra ferma, raggiunge Formia, poi Roma dove si ricongiunge alla sorella e ai fratelli trasferiti nella capitale. In città la Resistenza si è andata organizzando, ella vi entra a far parte con il compito di mantenere i legami tra le formazioni partigiane e la direzione dei Gruppi di difesa della donna. L’esperienza di “fenicottero” è davvero proficua, Adele sa muoversi con disinvoltura nei luoghi informali, ha imparato a simulare, a nascondersi, a difendersi dai pedinamenti. Dopo la Liberazione, la dirigente si dedica al lavoro sindacale: unica tra le tredici consultrici ad essere designata dalla Cgil che, nel 1947, la nomina anche nel Comitato direttivo nazionale; nel 1952 è eletta segretaria delle Tabacchine. Nel 1945 Adele compie un viaggio in Urss e rivede, dopo undici anni, i figli che tornano con lei in Italia, ma il ragazzo muore; in quello stesso anno rincontra anche il marito Domenico rientrato dal lager di Buchenwald (Germania). Per i due tornare a vivere insieme è difficile dopo la lunga separazione, molte cose sono cambiate, Adele e Domenico come tante coppie vissute in clandestinità si separano. Nel 1948 Adele Bei entra, per titoli acquisiti, nella lista dei Senatori, nuovamente eletta nella II e nella III Legislatura. Terminata l’esperienza istituzionale, si dedica all’Anppia, l’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti.
Muore a Roma il 15 ottobre del 1976. Le esequie si svolgono in forma laica presso la sezione Pci di Monteverde Vecchio (Roma).