1950, si ricomincia a vivere.
[…] le industrie, le città, i centri urbani erano ridotti a pezzi, ovunque c’erano macerie. I generi di prima necessità ancora scarseggiavano e molti prodotti alimentari potevano essere acquistati solo alla borsa nera, ma nei nostri padri e in noi giovani c’era voglia di ricominciare, di riprendere a vivere.
Così mese dopo mese, i paesi, le città ritornavano piano piano alla normalità: la vita ricominciava. Dappertutto era un germogliare di cantieri, d’iniziative per riprendere le attività produttive. Le saracinesche dei negozi erano schiodate e tirate su, le strade riprendevano ad animarsi.
Nelle vetrine dei negozi tornavano a far bella mostra beni fino allora introvabili. Tanti erano i prodotti dei quali non conoscevamo più il sapore, il colore, l’odore. Molte erano le merci che non eravamo più abituati a vedere sui banchi del mercato: dopo tanto buio tornavamo a vedere il sole e tutto questo ci sembrava quasi un miracolo. C’era in noi la voglia di riacchiappare la vita, di allontanare il passato pieno di avvenimenti tragici e di paura; c’era il desiderio di tornare a cantare con il neonato festival di Sanremo, di tornare a ballare di andare al cinema.
Molti hanno descritto l’Italia degli anni cinquanta ammantata da una cappa di grigiore, di tristezza, di conformismo culturale, d’inefficienza politica.
Questa è solo una parte della faccia dell’Italia degli anni Cinquanta, certamente il frammento meno brillante del pianeta italiano.
Ma se si esamina con più attenzione questo periodo e si predilige un altro punto d’osservazione, il decennio ci appare come un prodigio di vitalità, molto prima che si scorga all’orizzonte il miracolo economico. Alle nostre spalle c’èra il dopoguerra, il conflitto politico, la ricostruzione, il centrismo. Davanti a noi si spalancava la ripresa, l’industria, lo sviluppo, il lavoro, il benessere.