Ad aprile del ’53 fui arrestato insieme a mio fratello Alfredo e ad Umberto e Antonio Gilardi, per affissione di manifesti non autorizzati. […]
Dalla questura dove passai una notte fui trasferito al carcere di Poggioreale, dove fui trattenuto per quattro giorni, insieme ai compagni Gilardi; mio fratello minorenne, che da un anno studiava musica al Conservatorio, conobbe invece il carcere minorile, il “Filangieri” Avemmo un processo per direttissima, fummo difesi dal senatore Mario Palermo e dall’avvocato Giuseppe D’Alessandro; il processo si concluse con una gloriosa assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”. L’episodio fu vissuto con angoscia da mammà e papà; erano indignati per il sopruso della polizia che aveva arrestato due ragazzi, uno minorenne, non avevano mai avuto a che fare con questura, carcere, tribunale, ma, alla fine, la mia famiglia saldò ancora più il suo legame con il PCI e soprattutto con la figura di Mario Palermo. Mio padre e mia madre, in quell’insolito frangente, furono subito assistiti dal partito, ma l’incontro con il senatore, che di fronte alle lacrime di mia madre, pianse anche lui, e poi la sua arringa in tribunale, lasciò un segno indelebile d’umanità di questo incontro tanto che mia madre decise seduta stante nell’aula del tribunale di iscriversi al PCI.