Nel periodo della mia permanenza il PCI aveva a Mosca un proprio rappresentante ufficiale al quale i compagni italiani dovevano rivolgersi in caso di necessità. Quand’io giunsi tale mansione era svolta da Giovanni Germanetto, un piemontese nativo di Mondovì nel Cuneese, un fondatore del PCI, autore del celeberrimo libro “Memorie di un barbiere”, un testo compreso nell’elenco delle letture indispensabili per ogni buon comunista italiano e tradotto nelle varie lingue dei paesi del campo socialista. Giovanni Germanetto era riparato in Unione Sovietica durante il ventennio fascista per evitare il carcere e si era occupato del Soccorso Rosso Internazionale. Durante la guerra s’era impegnato nell’opera di proselitismo antifascista dei prigionieri italiani dell’ARMIR. Nell’immediato dopoguerra era ritornato in Italia con la moglie russa e la figlia Giovanna ma aveva dovuto abbandonare nuovamente la patria nel periodo dello scelbismo per sfuggire ad una condanna inflittagli a causa di un suo articolo incriminato come “oltraggio al Capo dello Stato”. A Mosca si occupava dei rapporti fra i compagni italiani e il Comitato Centrale del PCUS. Lo andai a trovare alcune volte a casa sua. Alquanto anziano soffriva di parecchi malanni. Una mente lucida, una memoria fortissima, sapeva avvincere l’ascoltatore coi suoi ricordi conditi dall’ironia e dal sarcasmo di timbro piemontese. Aveva parecchio da fare e da parlare, specie per convincere “i compagni italiani innamorati” a non contrarre il matrimonio con le ragazze sovietiche. Ce la metteva tutta per far capire che “un comunista italiano espatriato dall’Italia senza visto d’uscita, non poteva istruire una pratica matrimoniale in un paese dove non poteva assolutamente trovarcisi non avendo ricevuto dallo Stato italiano il permesso d’arrivarci”. Se nell’opera di dissuasione tale ragionamento non bastava, il vecchio Giovanni Germanetto, l’ex barbiere di Mondovì, aggiungeva: “E poi, sai, i sovietici non consentirebbero mai ad una loro cittadina di abbandonare, anche se lei lo volesse, la patria socialista per una patria capitalista”.
Gli amori erano consentiti… ma i matrimoni no. Dovettero passare diversi anni prima che gli amori sbocciati a Mosca negli anni cinquanta divenissero matrimoni in Italia negli anni sessanta. Oltre ad occuparsi di queste cose Germanetto doveva anche dirimere e comporre le varie controversie che insorgevano fra i componenti della comunità italiana presente all’Università e alla Scuola Centrale del CC del PCUS promuovendo incontri ed assemblee, discutendo, discutendo e discutendo… Ed inoltre sbrigava le mansioni di “postino”. Siccome non si poteva usufruire della posta ordinaria egli fungeva da recapito per la posta in partenza ed in arrivo servendosi – diceva lui – delle”vie interne di partito”, che, a dire il vero, usufruivano sicuramente delle valigie diplomatiche sovietiche. Quando Giovanni Germanetto lasciò nel 1959 questo mondo, e l’urna delle sue ceneri venne tumulata nel Cimitero monumentale moscovita del Novodevicj Monastyr, le sue mansioni furono assunte da Giovanni Serbandini, l’ex comandante partigiano “Bini”, ex direttore de L’Unità di Genova, che soggiornò a Mosca per qualche anno per cure sanitarie. Ed alla sua partenza non lo sostituì più nessuno.