Allieva di tanto “maestro”, nel 1946, all’epoca del referendum, fui mandata a far propaganda nel collegio elettorale di Avellino, Salerno-Benevento. In quel ribollente tino di lealismo monarchico, la propaganda repubblicana non era cosa facile… tutt’altro: qualche volta anche un po’ pericolosa; ma, con l’incoscienza dei giovani e aiutata dal mio senso dell’umorismo, mi divertii immensamente.
Candidato repubblicano per la costituente era, in quel collegio, l’avv. Ugo De Mercurio, un brav’uomo che “si stimava molto”, ma non credo fosse particolarmente conosciuto nel circondario. Mi aveva fatto ospitare in casa dalla sua segretaria e tutte le mattine ce ne andavamo a giro in macchina nei vari paesi o cittadine del circondario. La gente, però non aveva nessuna voglia di starci ad ascoltare e l’unica soddisfazione che davamo loro era quella di fischiarci! In effetti, però, finirono per avere più “pazienza” con me che con lui, non perché la mia oratoria fosse migliore, ma perché una donna destava più curiosità e anche perché talvolta usavo metodi un po’… energici! Un giorno, per esempio, volevano farmi “parlare” da un balconcino vistosamente ornato da due bandiere monarchiche: – E sù… parla da lì… mi dicevano ironicamente ridacchiando. Ed io, fieramente: – Da lì non parlo… E rivolgendomi ai carabinieri presenti nella piazzetta, li pregai di scortarmi sul balcone di una casa accanto privo, quello, di simboli monarchici; e, seguendo lo stile di Giovanni Conti, parlai, cordialmente, fraternamente, fiancheggiata dai due carabinieri, guadagnandomi anche qualche applauso.
Un’altra volta, ad Ariano Irpino, vociavano talmente che non riuscivo a farmi udire: infuriata, ad un tratto, saltai sul tavolino che mi divideva dalla folla, ed approfittando del momento di silenzio dovuto alla esterrefatta sorpresa, iniziai a parlare… e non riuscirono più a fermarmi… e qualcuno, gentile, gridò: – Brava… Questi ed altri exploits riempirono i giorni della campagna elettorale. Di quel periodo ricordo un particolare che – forse – faceva parte del modo di procedere dei candidati che non avevano né uno staff di collaboratori né possibilità economiche adeguate; comunque, io trovai divertente quell’innocente ed “artigianale” metodo di propaganda. Allorché ci dirigevamo in macchina verso i paesi dove era stato fissato il comizio, traversando quelle meravigliose strade dell’Irpinia immerse nel verde, il mio amico candidato faceva fermare la macchina, prendeva dal porta-bagagli un fascio di manifesti ed un barattoletto di colla e, pazientemente, sul tronco di un albero o su un pezzo di muro, li attaccava diligentemente: su di essi, a grossi caratteri spiccava il suo nome, preceduto da un “viva” e seguito dalla dicitura “candidato del P.R.I.”. Ne attaccava parecchi, di manifesti, cercando però sempre di farlo quando nessuno era in vista e la cosa comica era che, al ritorno, se li guardava compiaciuto, come se quella parata muraria fosse opera di suoi fedeli sostenitori.
Innocenza… onesto e palese limite di possibilità economiche… Lo ricordo e lo rimpiango, durante le successive campagne elettorali, quando assisto allo sperpero di miliardi in carta e colla sui muri di tutta Italia.