Mary fu una compagna di lavoro indimenticabile. Giovane sposa, s’illuminava tutta quando mi parlava della sua bambina ed io, allora ragazza, rimanevo colpita dalla sua espressione, scoprendovi tutto il fascino della maternità. Molto spontanea, suscitava simpatia per la sua dote di scovare sempre il lato ironico della nostra non facile vita di operaie. Facemmo insieme importanti esperienze formative sindacali, come quella per abolire l’odioso “cottimo” che ci divideva nella lotta e ci rendeva nemiche sul lavoro. Vincemmo, conquistando il “premio di produzione” e, quindi, aumentando il salario. Mary seguì con intelligente coraggio tutta questa fase in cui di coraggio ne occorreva tanto, se volevamo tutelarci, affermando i nostri diritti nelle giuste regole.
Durante i pesanti turni di lavoro, quando le ore critiche arrivavano, Mary sapeva sollevarci il morale. Iniziava a cantare a bassa voce, aggregando le più vicine, realizzando cori e duetti che superavano l’ossessionante rumore delle macchine. Non essendo nativa di Pontorme, c’era chi tentava di farla sentire “straniera” e Mary se la prendeva, sfogandosi con me che la comprendevo, avendo subito la stessa esperienza con la mia famiglia. A parte me – nativa di Pontorme – i miei genitori, fratelli e sorelle erano, infatti, nati in luoghi diversi. Erano pisani, senesi e, persino, di Arles in Provenza.
Certi lunedì Mary tornava raggiante per avere ricevuto la visita dei parenti di Massa Carrara, sua città natale, di cui lei esprimeva tutto il carattere più ligure che toscano. Parlava in fretta, sapeva analizzare con scrupoloso puntiglio le situazioni, senza mai cedere al pettegolezzo. Mary, partendo dal particolare, sapeva dare risalto agli aspetti più vicini alla verità delle cose, rilevando le contraddizioni della nostra vita, tanto segnata dalle tristezze ereditate dalla guerra e dalla pesantezza del lavoro quotidiano.